La libertà di stampa fu conquistata a caro prezzo dal popolo italiano dopo il fascismo. E per un giornale non essere in edicola e chiudere il sito non è un bel modo di anticipare il 25 aprile. Non accade spesso che la nomina di nuovo direttore venga accolta da uno sciopero della redazione.

Ma questo è avvenuto a Repubblica dove, giovedì sera, al termine di una drammatica e concitata assemblea, i giornalisti hanno deciso di non fare uscire il quotidiano di ieri, e di scioperare sul sito internet per 24 ore.

Evidentemente il licenziamento di Carlo Verdelli è stato vissuto come un atto di inedita gravità, visto che è avvenuto nel giorno in cui si esprimeva solidarietà al direttore per le continue, gravi minacce ricevute e per il delicato momento che sta attraversando il paese, dunque sarebbe stato meglio non intervenire in modo così traumatico nella vita e nella gestione del quotidiano.

Brutalità del licenziamento a parte, a Verdelli verrebbe imputata una scarsa attenzione al web e ai prodotti giornalistici relativi, quindi una scarsa espansione della presenza tra i lettori online.

L’ex direttore si sarebbe dedicato soprattutto all’edizione di carta, concentrando idee, organizzazione e firme per realizzare un quotidiano più forte.

E sembra che questa operazione sia in parte riuscita, arginando la perdita di copie che – anche in seguito al lockdown e alla chiusura del 20 per cento delle edicole – sta incidendo sulle vendite di tutti i giornali (compreso il nostro, anche se in misura minore rispetto al periodo precedente l’epidemia).

Tuttavia queste spiegazioni non vanno al nocciolo della questione. Che è tutta politica, non editoriale. Dunque, dopo l’abbandono del Corriere della Sera, gli Agnelli si comprano Repubblica, un giornale nazionale (La Stampa è poco più che locale), su una linea politica diversa da quella rappresentata dalla storia di Repubblica e da quella che, nonostante le critiche spesso giuste altrettanto spesso forzate a Conte, rappresentava Verdelli.

Il quale nel momento in cui si è iniziato a parlare di governo di emergenza nazionale – o governo Draghi – non ha preso posizione, lasciando queste ipotesi ai retroscena dei notisti politici.

Non solo era evidente ormai una sbiadita linea di centrosinistra della testata, ma adesso che è in gioco il riassetto dell’economia del paese, un gruppo finanziario come quello guidato dagli Agnelli interviene e mette in campo le sue notevoli armi di persuasione rispetto agli assetti politico-istituzionali, presenti e futuri. Manifestando la sua essenza di editore molto impuro.

Marcatamente capitalista, marcatamente atlantista, marcatamente filo-israeliano. Maurizio Molinari – semper fidelis a La Stampa – assommando il ruolo di direttore del giornale e di direttore editoriale di tutto il gruppo Gedi, con un accentramento di potere assoluto, può interpretare questo cambio di linea e il cammino per la nuova Repubblica è dunque indicato. E verrà tracciato lentamente, forse non con altri colpi d’accetta. Ma la strada quella sarà.

Una scelta così dirompente, e traumatica, rischia però di stravolgere la stessa storia di quel giornale. Che finora si era mantenuto dentro un alveo liberal-socialdemocratico. E siamo curiosi di leggere se e cosa scriverà Eugenio Scalfari.

Tuttavia una linea filo-Agnelli potrebbe rivelarsi un brutto colpo proprio per le tasche dei nuovi padroni, questa volta con uno sciopero strisciante proclamato dai tradizionali lettori di Repubblica.

Con il rischio di ristrutturazioni e licenziamenti che preoccupano fortemente la redazione, come si evince dal comunicato del Cdr. Ma di fronte alle batoste economiche che la Fiat ha subìto nel corso del tempo, cosa volete che sia la perdita di qualche milione di euro, se il gioco vale la candela.