Le istituzioni se ne accorgono solo quando ci scappano i morti di cosa sta succedendo in alcuni territori che amministrano. Una storia che si sta ripetendo anche con l’avvocato e blogger Mario Piccolino a Formia, ucciso venerdì scorso con un colpo di pistola in fronte e i cui funerali si sono svolti ieri.

Ora tutti si domandano come sia stato possibile che un killer, in pieno pomeriggio di un giorno lavorativo, si presenti a viso scoperto nell’ufficio che la vittima divideva con un ingegnere, si fa aprire il portone da quest’ultimo, si fa indicare la stanza giusta, gli arriva davanti, gli spara e poi si dilegua come se nulla fosse. È evidente che se un killer va ad ammazzare qualcuno a viso scoperto lo fa perché sicuro di non essere riconosciuto; così come è evidente che dicendo di avere appuntamento con la vittima è perché certo di trovare la persona da colpire, non conoscendola.

Visitando il sito curato da Piccolino (freevillage.it) ci si fa un’idea precisa della passione per la verità che aveva quest’uomo spigoloso ma dotato di una profonda umanità. La stessa verità che le medesime istituzioni nel loro complesso, a cominciare dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul traffico dei rifiuti, conoscono bene da quasi venti anni. Tutto quello che riportiamo qui di seguito infatti è contenuto in un apposito verbale rilasciato in data 13 marzo 1996 dal pentito di camorra Carmine Schiavone, recentemente scomparso in circostanze ancora da chiarire. In un interrogatorio iniziato alle 9.55 del mattino e terminato dieci ore dopo, il primo collaboratore di giustizia appartenuto al clan dei Casalesi rilasciò una lunghissima deposizione presso gli uffici del Comando Provinciale dei Carabinieri di Latina, alla presenza anche dei vertici investigati delle altre forze dell’ordine.

Schiavone era il cassiere della cupola del relativo clan e in tale veste conosceva ogni minimo particolare di quell’organizzazione criminale. Disse chiaramente, facendo nomi e cognomi, che da anni nell’intera Provincia di Latina e a Formia in particolare, il clan aveva attivato un’intensa opera «di infiltrazione e di investimento degli illeciti introiti comunque ricavati». Disse espressamente che non era solo il suo gruppo ad avere interessi in terra pontina perché aveva riscontri diretti della presenza «di tutte le mafie nazionali». Il loro capo zona era Antonio Salzillo detto «Capocchione», ucciso a sua volta nel marzo 2009, nipote di Ernesto e Antonio Bardellino. Le famiglie degli Schiavone e dei Bardellino erano un unico clan fino all’uccisione di quest’ultimo nel 1988 in Brasile. Scoppiò così una guerra interna e i Bardellino furono costretti a «riparare» proprio a Formia, che dista poche decine di chilometri da Casal di Principe. Ma il clan vincente non diede loro tregua e piazzò in tutto il territorio a sud di Roma (provincia di Frosinone inclusa) i propri uomini. Lo stesso Carmine Schiavone organizzò il gruppo di fuoco dove nel luglio 1988 a Gaeta rimase ucciso il 21enne Pasquale Piccolo: in realtà ad essere ammazzato doveva essere anche colui che lo accompagnava, «reo» di essere il fidanzato di una ragazza imparentata con Salzillo e di conseguenza con i Bardellino.

La prima attività ammantata di legalità dei «vincenti» dentro il clan fu una concessionaria di veicoli industriali insediata nel Comune di Latina sulla via Pontina. Attraverso i fratelli Diana i Casalesi ottennero alcuni appalti per la terza corsia dell’Autostrada del Sole tra Roma e Napoli: all’organizzazione finiva il 10% dei guadagni. Loro appannaggio furono poi anche molti lavori per la realizzazione della Tav. Dopo la rottura con i Bardellino gli Schiavone «soppiantarono» (testuale dal verbale) Antonio Salzillo con Vincenzo Zagaria, detto «Zagor», referente per tutta la zona che va da Sabaudia a Roma. Alle loro dipendenze c’erano circa trenta uomini pagati 3 milioni di lire al mese ognuno.

Attraverso un loro cugino «incensurato» Carmine e Francesco Schiavone (detto Sandokan) comprarono un’azienda agricola, pagandola tre miliardi di lire, dalle parti di Borgo Montello, dove c’è la discarica di rifiuti urbani che serve l’intera provincia. Lì i Casalesi iniziarono, secondo le dichiarazioni del pentito, a scaricare rifiuti industriali al prezzo di 500mila lire a bidone. Altri terreni furono acquistati proprio a ridosso dell’impianto di smaltimento dei rifiuti e sono stati venduti pochi anni fa dagli Schiavone alla Indeco Srl, una delle due società che gestiscono l’intera area. Proprio su quei terreni acquistati dal clan 1989 è prevista oggi la realizzazione di un impianto di trattamento meccanico-biologico dei rifiuti della Provincia di Latina. «Confinante» di questi immobili è in terreno appartenete alla galassia societaria di Manlio Cerroni.

Nella zona del sud pontino («fino a Terracina», dichiarò all’epoca il testimone di giustizia) invece il clan insediò come capo zona «don» Gennaro De Angelis, arrestato proprio a Formia nel 2009, attraverso il paravento di una concessionaria d’auto che aveva una sede anche a Cassino.

Per tale compito riceveva 50-60 milioni al mese per le esigenze dei suoi sottoposti, mentre altri soldi il De Angelis se li procurava direttamente con il traffico di droga e di armi. Attraverso un altro loro uomo acquistarono un locale notturno, il Seven Up, successivamente incendiato per intascare il premio assicurativo. «Il De Angelis si preoccupava di allacciare i contatti politici necessari a conoscere in anticipo le decisioni che sarebbero state prese in materia di urbanizzazione e di edificazione» è un’altra dichiarazione messa a verbale.

Carmine Schiavone spiega anche che da molti anni lui conosceva benissimo Venanzio e Carmelo Tripodo, figli di un esponente di spicco della ‘Ndrangheta calabrese insediatasi a Fondi, sempre nel sud pontino. In particolare Carmelo proprio a Fondi aveva una «cucina» (una raffineria) per trasformare la morfina in eroina.

Queste dichiarazioni, come scritto, sono del marzo 1996, ma passeranno più di dieci anni affinché questi due fratelli («germani») dediti al traffico di droga persino con la Germania e che non hanno mai interrotto i rapporti con la terra d’origine, diventino il cuore dell’inchiesta che porterà alla richiesta di scioglimento per mafia del Consiglio comunale di Fondi. Richiesta inoltrata dall’allora Prefetto di Latina Bruno Frattasi e confermata per ben due volte dal ministro dell’Interno Roberto Maroni, ma negata dal Consiglio dei ministri presieduto da Silvio Berlusconi, aderendo alla volontà dell’onnipotente referente di Forza Italia in zona, Claudio Fazzone, oggi peraltro componente della Commissione parlamentare Antimafia.

Oggi il sindaco di Formia Sandro Bartolomeo, a seguito dell’assassinio dell’avvocato Mario Piccolino, torna a chiedere con forza alle istituzioni di non essere lasciato solo nella lotta alle organizzazioni criminali. Alla luce di questo verbale di venti anni fa però, c’è da chiedersi quando mai sono state in sua e nostra compagnia.