Se, come credevano gli antichi, un’eclissi totale di sole è il segno dell’ira degli dei, lutti e sciagure colpiranno gli Stati uniti, e in particolare l’amministrazione Trump.

A ben guardare il percorso dell’eclisse del 21 agosto, infatti, si scopre che la zona di oscuramento totale ha toccato soltanto dodici stati che avevano votato per Trump nel novembre scorso, oltre a un gruppetto di contee in Oregon e Illinois che, anch’esse, avevano votato per l’attuale presidente. Gli stati che avevano votato per i democratici, dalla California a New York, sono stati risparmiati.
Ok, forse gli indovini esagerano ma certo agosto non è stato un buon mese per Trump, tra minacce di guerra con la Corea del Nord, scontri a Charlottesville, calo della Borsa e due incidenti mortali su navi militari nel Pacifico, entrambe vittime di inspiegabili collisioni.

[do action=”citazione”]Sarà forse per questo, o per i discorsi incoerenti e confusi del presidente, che il nuovo gioco di società a Washington è diventato «come sbarazzarsi del presidente».[/do]

Due sono le vie previste per rimuovere un presidente dal suo incarico: l’impeachment o il ricorso al XXV emendamento della costituzione, ratificato nel 1967.

L’impeachment è la via più nota: fu sperimentata nel 1974 quando Richard Nixon fu costretto alle dimissioni e nel 1998, quando il Congresso a maggioranza repubblicana cercò invano di sbarazzarsi di Bill Clinton. Oggi i repubblicani controllano entrambe le camere, quindi si tratta di una possibilità molto remota.

È invece significativo che si discuta seriamente del XXV emendamento, che offre la possibilità di rimuovere il presidente se «incapace di esercitare i poteri e i doveri della sua carica». Per attivare la procedura occorre una dichiarazione scritta del vicepresidente e della maggioranza dei membri del governo. Il Congresso riteneva necessario avere uno strumento per affrontare casi come quello di Woodrow Wilson, che fu colpito da un ictus durante il secondo mandato ma la cosa venne sostanzialmente tenuta nascosta, mentre la moglie sbrigava i doveri dell’ufficio insieme a un gruppo ristretto di consiglieri e ministri.
Tuttavia, la definizione dei casi di «incapacità» è sufficientemente vaga per contemplare anche la possibilità di agire in caso di un presidente mentalmente instabile, o colpito da Alzheimer, com’era il caso di Ronald Reagan, che però fino a che rimase in carica non manifestò segni evidenti della malattia che lo aveva colpito. Trump è «mentalmente instabile»?

Ovviamente, i suoi sostenitori lo negano ma i tweet bizzarri e i discorsi aggressivi e fuori tema che ha fatto recentemente danno da pensare. Per il momento, nessuno ha ancora pensato di inviare una squadra di psichiatri alla Casa bianca ma è interessante il fatto che molti repubblicani «difendano» Trump sostenendo che non può fare troppi danni perché a controllarlo ci penseranno «gli adulti». Gli adulti sarebbero i tre generali che ha nominato in posti chiave dell’amministrazione: il segretario alla Difesa James Mattis, il consigliere per la sicurezza nazionale Herbert McMaster e il nuovo capo di gabinetto, John Kelly.

Una presenza di alti gradi nel governo senza precedenti nella storia americana, che pure registra otto presidenti ex militari su 45 (oltre ad alcuni politici con una reputazione di eroi di guerra, come Theodore Roosevelt e John Kennedy).

Tradizionalmente le responsabilità della difesa e della politica estera sono riservate a dei civili, spesso accademici, anche se ci sono state eccezioni come Colin Powell (prima consigliere di Bush e poi Segretario di stato).
Nel caso di Trump, tuttavia, un presidente minoritario nel voto popolare e in difficoltà nei sondaggi, non può che trarre beneficio dal circondarsi di uomini che provengono dalla più amata delle istituzioni americane: l’esercito.

[do action=”citazione”]Se, infatti, appena un cittadino su quattro ha fiducia nei politici, e poco più di uno su tre nei mass media, sono invece quattro americani su cinque ad aver fiducia nei militari.[/do]

Apparentemente il rigetto delle élite evidente nelle elezioni del 2016 non ha ancora toccato gli uomini in divisa. Da qui a pensare che i generali salveranno la democrazia americana da un presidente narcisista, incompetente, e forse pericoloso, c’è però un passo assai lungo.

Prima di tutto i militari sono disciplinati e il presidente, per la Costituzione, rimane il loro comandante in capo. In secondo luogo, Trump può essere imprevedibile e vendicativo ma continua a godere del sostegno dei principali dirigenti del partito repubblicano, legati a lui da un matrimonio d’interesse assai solido. Infine, ha fiducia in lui una robusta minoranza degli elettori: fra il 35% e il 40% degli aventi diritto.
Difficile, in queste condizioni, trovare chi voglia opporglisi apertamente, men che meno agire per rimuoverlo dalla carica.