Il Brexit e la crisi del sistema bancario avranno un impatto significativo a fine anno sulla crescita italiana. In attesa del responso la nota mensile dell’Istat sull’andamento dell’economia ha confermato il rallentamento della crescita nel breve termine, la stagnazione dei consumi e l’aumento della sfiducia delle famiglie, nonostante il bonus degli 80 euro. A maggio, dunque, niente «pizza» o «zainetto»in più, lo disse Renzi per davvero quando lanciò l’onerosissima misura che fino ad oggi è stata destinata a oltre 11 milioni di dipendenti per una spesa di 6,1 miliardi di euro. Nel secondo trimestre del 2016, i dati attestano una stasi dei consumi finali dopo tre trimestri consecutivi di aumento. Il problema è dopo: l’Istat prevede che non ci sarà un aumento significativo dei consumi e il clima della fiducia delle famiglie non migliorerà.

La decelerazione della «crescita» prosegue da inizio anno e a maggio ha preso la strada per «un’ulteriore discesa». Questo significa che la crescita reale annua del Pil, data dal Documento di economia e finanza (Def) all’1,2% solo un mese prima (ad aprile), raggiungerà a stento l’1% e, considerato l’impatto del Brexit e della crisi delle banche, sarà ancora più bassa. Del resto, lo hanno confermato anche dal governo. Per il momento l’Istat non fa previsioni e si attiene al già noto: le stime ufficiali sul Pil del secondo trimestre del 2016 sono attese il prossimo 12 agosto. La crescita congiunturale è ferma al più 0,3 per cento del primo trimestre. Si fa sentire nella «crescita moderata» nel manifatturiero e qualcosina sgocciola anche nelle costruzioni. Le imprese ricominciano a guadagnare e questo aspetto sembra dare fiducia anche alle statistiche. Prosegue anche il «miglioramento dell’occupazione», trainata dagli sgravi alle imprese per le assunzioni con il contratto «stabilmente precario» delle «tutele crescenti» (Jobs Act).

L’Istat avverte: questa crescita prosegue «ad un ritmo più contenuto rispetto al mese di aprile». A giugno le attese degli imprenditori sull’occupazione risultano tuttavia in peggioramento nei servizi e nelle costruzioni, sono stabili nella manifattura e aumentano solo nel commercio. Peggiorano invece le speranze delle famiglie di uscire dalla disoccupazione. Per chi li vuole vedere, non sono segnali molto incoraggianti. Nemmeno la prospettiva dei prezzi lo è: l’inflazione è destinata a restare molto debole, segno che nemmeno l’energica cura della Bce – volta a riportare l’inflazione sotto il 2% – sta funzionando in Italia.

Valutazioni convergenti sono state espresse nell’almanacco dell’economia pubblicato dalla Cgil: la crescita è affidata alla domanda interna che, come abbiamo visto ristagna e ha iniziato la parabola discendente. Il problema è che non cresce nemmeno il commercio estero: meno 0,2%. «A far crescere il Pil – sostiene la Cgil – è praticamente la variazione delle scorte». Si gratta il fondo del barile. Questo mediocre andamento si chiama «deflazione»: «la tendenza è confermata -conclude il sindacato – il mercato del lavoro mostra ancora segnali negativi e i livelli pre-crisi sono lontanissimi». I dati dell’Istat sembrano essere una fotografia scattata prima della tempesta.