«Siamo fisicamente incapaci di ascoltare qualcosa di nuovo. Non esiste musica o buona o cattiva in assoluto, siamo noi a fissare questi standard. Ho letto gli articoli che vennero scritti su Wagner alla fine dell’Ottocento. Come era possibile che qualcuno definisse quella musica “rumore orribile, caos gracchiante o schifezza primordiale”? Ora per noi è quasi musica di sottofondo. Eppure ai tempi qualcuno lo percepì come un rumore assordante».

C’è stata una stagione nel rock in cui il rumore divenne protagonista, un’intera scena musicale venne sedotta da un’avanguardia popolata da chitarre distorte, suoni atonali e penetranti, feedback e dissonanze. Al centro di questo movimento sotterraneo, ma poi sorprendentemente corteggiato e confluito nel mainstream, c’era un compositore americano che fece di New York la sua base artistica, Glenn Branca, scomparso lo scorso 13 maggio a 69 anni per un tumore alla gola, proprio nella città di cui, in parte, contribuì a definire una scena musicale.
Originario di Harrisburg in Pennsylvania, imbraccia per la prima volta la chitarra a 15 anni.

Approda a Boston all’inizio degli anni Settanta per studiare teatro all’Emerson College. Dopo il diploma si trasferisce brevemente a Londra dove mette in scena una piece di teatro dell’assurdo intitolata Scratching the Surface. Torna a Boston dove fonda nel 1975 con John Rehberger la compagnia di teatro sperimentale Bastard Theater che produce due spettacoli per cui firma le musiche. Si cimenta anche con la musica d’avanguardia fondando, sempre con Rehberger, i The Dubious Music Ensemble.

Branca arriva nella Grande Mela nel 1976, la sua idea è di portare lo stile provocatorio del Bastard Theater nel cuore della frenetica scena artistica di Manhattan.

È un onnivoro musicale, la sua curiosità è ai limiti della dipendenza.

«Non penso – ricorderà in un’intervista – che ci sia una singola cosa che possiate nominare che io non stessi ascoltando. Ero vorace. Le mie orecchie volevano sempre ascoltare cose nuove. Amavo il rock, lo adoravo. Collezionavo dischi. Mi tuffai nella jazz fusion degli anni Settanta, nella classica contemporanea. Volevo ascoltare qualsiasi cosa. Arrivai a sfondare il mio stereo. Mi ricordo che un giorno ci chiamarono per un’esibizione in un negozio di dischi. Ve lo giuro. Ascoltai tutti i dischi del negozio. Fu il giorno in cui scoprii Mahler».

BULIMIA MUSICALE

La sua bulimia musicale entra in contatto con la tumultuosa e anarchica New York del periodo che va dalla fine degli anni Settanta all’inizio degli anni Ottanta. I piccoli club erano centrali elettriche di energie culturali innovative (vedi Alias del 5 marzo 2018), la scena musicale, sedotta dal punk, era in ebollizione. Branca incontra Jeffrey Lohn, un musicista di estrazione classica folgorato dagli artisti che salivano sul palco del CBGB, con cui fonda il quartetto dei Theoretical Girls. La band suona poco più di una dozzina di concerti, di cui tre, curiosamente, a Parigi, e incide canzoni che rimarranno per anni inedite, ma l’approccio viscerale, anarchico e dissonante al punk lascia il segno. La chitarra di Branca si appropria dei riff dei Ramones e li ingabbia in schemi ossessivi per poi distorcerli e smembrarli tra distorsioni e tempeste elettriche.

L’esperienza dei Theoretical Girls confluisce poi in una nuova band, gli Static. La musica si fa più impervia, pericolosa, ma il pubblico di allora vuole essere stupito. Dirà Branca: «Più la musica diventava oltraggiosa e più il pubblico cresceva. Capii che potevo fare quello che volevo». Questo movimento musicale viene marchiato con il termine No Wave, per distinguerlo dalla più commerciale New Wave che sta conquistando platee internazionali. Branca è l’avanguardia dell’avanguardia, sul palco tortura la chitarra che diventa strumento e vittima sacrificale della sua performance. Su YouTube si può vedere una rara registrazione di una sua esibizione del giugno del 1978. Sembra un Hendrix impazzito che combatte con il suo strumento.

La sua visione musicale approda finalmente a un esito discografico nel 1980 con la pubblicazione dell’ep Lesson No. 1, un lavoro ispirato tanto dai Joy Division che dal minimalismo di Steve Reich in cui il punk si tramuta in un ibrido di sperimentazione noise, classica contemporanea e new wave. Fanno seguito dopo pochi mesi altri due album seminali come The Ascension, forse il suo disco più importante, e Indeterminate Activity of Resultant Masses. Branca intanto recluta per il suo gruppo il chitarrista Lee Ranaldo con cui si cimenta in un tour nazionale.

Fuori da Manhattan le provocazioni artistiche di Branca sono però un universo alieno. «Nessuno era pronto per questa musica – ha ricordato Ranaldo -, nessuno era preparato per quello che stava per accadere. Era più che impressionante. Era arte». Attraverso Branca, Ranaldo entra in contatto con un altro chitarrista che ama l’avanguardia, Thurston Moore. I due, con la fidanzata di Moore, Kim Gordon, decidono di formare nel 1981 i Sonic Youth. È questo forse il lascito più prezioso e importante che Branca ha consegnato alla storia del rock. Nato dalla sua visione artistica e musicale, il gruppo incide il primo ep proprio per un marchio discografico da lui creato, la Neutral Records. I Sonic Youth definiranno il suono della New York degli anni Ottanta, diventando i pionieri della rivoluzione dell’alternative rock che conquisterà il mondo alla fine del secolo.

SINFONIE

Branca non cavalcherà il movimento che aveva aiutato a fondare, continua sulla strada della sperimentazione. Concepisce sinfonie che si sprigionano dal suono della chitarra elettrica, moltiplicata, modificata, amplificata al massimo, resa assordante, maestosa e ipnotica allo stesso tempo. In Symphony No. 2 fa confluire il suono di 11 chitarre, percussioni e rumori di fondo.

Arriva a ideare una suite per mille chitarre per i festeggiamenti del millennio da eseguire a Parigi, il progetto non va in porto ma l’esito è Hallucination City: Symphony 13 for 100 Guitars, le chitarre sono diventate 100, l’opera debutta dal vivo al World Trade Center nel giugno del 2001 e poi verrà incisa per un album all’Auditorium Parco della Musica di Roma nel 2008. Negli anni le sue suite hanno conquistato ammiratori e detrattori sia nel mondo del rock che della classica. John Cage, uno dei più importanti compositori del Novecento, assiste a un suo concerto, si dichiara terrorizzato e sentenzia: «Rappresenta tutto quello che c’è di sbagliato nella musica».

Ma l’avanguardia di Branca si è fatta strada in mondi diversi. È stata costante ispirazione nel rock: ha influenzato stili poi classificati come industrial, noise e drone, e band di riferimento come Helmet e Swans, i cui membri si sono formati alla sua scuola. È stata suonata da orchestre classiche nei festival internazionali: nel 1989 scrive la Symphony No. 7, la sua prima opera concepita per un’orchestra sinfonica, commissionata dallo Steirischer Herbst Festival di Graz. È stata utilizzata da Peter Greenaway per il film Il ventre dell’architetto e nei balletti della Twyla Tharp Dance, Alvin Ailey Dance Company e del Joffrey Ballet.

Gli aneddoti ci raccontano di come Glenn Branca fosse un artista testardo, ostinato, orgoglioso del proprio lavoro. La sua ultima opera discografica, The Ascension: The Sequel, è uscita nel 2010 ed è un ideale ritorno a uno degli album più importanti della sua carriera. Amava più la musica della vita: «Amo la musica, amo fare musica, voglio che la gente l’ascolti. Altrimenti il mondo è solo uno spreco di tempo, un disgustoso cesso». A comunicare la sua morte è stata sua moglie, Reg Bloor, anch’essa chitarrista e collaboratrice del marito per quasi vent’anni: dopo una lunga malattia, si è spento serenamente nel sonno. Anche il maestro del rumore alla fine ha incontrato il silenzio.