Ci incontriamo nella Piazza di Codroipo(Udine). Pochi chilometri da Gradisca di Sedegliano dove è nato, cinquantaquattro anni fa, il pianista e compositore Glauco Venier. Vicino a Coderno, il paese di Padre David Maria Turoldo. Oltrepassando il fiume Tagliamento si è nei luoghi della «meglio gioventù» di Pier Paolo Pasolini.

Non sono personaggi citati a caso. Glauco Venier ha da poco pubblicato Miniature (ECM). Disco in piano solo dopo i tre realizzati per l’etichetta di Manfred Eicher insieme alla cantante inglese Norma Winstone e al sassofonista austriaco Klaus Gesing. Un disco importante, di quelli che lasciano il segno. Music for piano and percussion recita il sottotitolo perché Venier vi suona anche diverse percussioni ma in diretta , senza sovraincisioni. « L’idea è nata dal rapporto con l’artista Giorgio Celiberti, un uomo solare, positivo, pieno d’amore. Grazie a lui ho riscoperto l’entusiasmo per fare musica creativa». Con l’arte di Celiberti ( Udine, 1929) l’incontro è propiziato da un concerto nel 2012. Venier esegue la sua Symphonika al Teatro Giovanni da Udine per Mittelfest.

Vede tra il pubblico un uomo alzarsi e ondeggiare al ritmo della musica. La sua mano si alza disegnando immaginarie linee nello spazio. Alla fine del concerto i due si conoscono e Celiberti confessa di avere provato l’irresistibile desiderio di disegnare. Da allora, nonostante la differenza d’età, i due divengono amici. «Mi ha chiesto di fare le musiche per un video nel suo studio. C’erano delle sue croci in metallo appese al soffitto e sfiorandole mi sono accorto che producevano una musica». Da queste sculture sonore inconsapevoli nasce l’idea di costruire dei brani utilizzando il pianoforte e le percussioni che fornisce la struttura del disco. Dalle sculture sonore di Harry Bertoia ( nell’iniziale Ritual), a gong (in un brano suonato dallo stesso Eicher), campane, kalimba.

Improvvisazioni, brani originali e interpretazioni di composizioni di Georges Gurdjieff e Thomas A. de Hartmann, del rinascimentale Guillame Dufay, dell’armeno Komitas e il gregoriano Ave Gloriosa. Musica intima, distillata, profondamente spirituale. « Mi sono avvicinato alla musica tramite l’organo ascoltato alla Messa della Domenica. È lo strumento con il quale mi sono diplomato e sono molto legato al repertorio liturgico sul quale mi sono formato da giovane ben prima di appassionarmi al rock e al jazz.

Penso che chi fa musica e dunque passa molto tempo con se stesso abbia la possibilità di sviluppare in profondità la dimensione spirituale». Le tracce del disco non superano quasi mai i cinque minuti; sono piccoli e perfetti meccanismi sonori che sposano la essenzialità e la semplicità con un ampio ventaglio di suggestioni e atmosfere. La forte personalità di Venier conferisce a tutti una decisa coerenza. « Ci sono riferimenti alla musica contemporanea, soprattutto Oliver Messiaen che amo».

Nel solco di una tendenza promossa dall’etichetta tedesca queste musiche cercano di proporre suoni che siano in grado di evocare cortocircuiti spaziotemporali. Vi si respira un desiderio di frantumare le etichette e le ossessioni catalogatorie. «Mi piacerebbe che si dicesse che questo disco non è di contemporanea o di jazz ma di Glauco Venier». Si sente l’attrazione per l’Oriente. Un Oriente arcaico, atemporale, pasoliniano.

Madiba è l’omaggio al Mandela appena scomparso con una danza scheletrita di grande forza. Prayer un canto schietto e assertivo. C’è parecchio Novecento pianistico classico che riaffiora qua e là, in Deep And Far ad esempio, e naturalmente la lezione improvvisativa del jazz, qui declinato più come approccio e istinto piuttosto che repertorio e forme.