Più che la bellezza poté la volontà. La classe, poi, l’ha acquisita con gli anni. E la moda l’ha incontrata solo grazie al suo ruolo. Ma Jacqueline Lee Bouvier Kennedy Onassis, detta Jackie O’, è stata un’icona di tante cose: di stile e di femminilità, nonché icona gay.

In una pagina di Palinsesto, Gore Vidal spiega benissimo il perché della sua fortuna popolare. Lo scrittore americano, che con l’ex first lady aveva in comune un patrigno (il secondo marito delle rispettive madri: quella di Vidal lo cedette all’amica, la madre di Jackie che, da divorziata, era costretta a fare la commessa da Bergdorf & Goodman), descrive la ragazza di buona famiglia decaduta ed ex compagna di giochi nella casa di vacanza di Southampton, come oggi si potrebbe fare con una delle influencer della moda dei nostri anni, per concludere che Jackie fu costretta a diventare un’icona dalla propria forza di volontà, tipica delle scalatrici sociali, per non rischiare mai più di cadere in quella situazione di semi povertà che soffrì da bambina dopo il divorzio dei genitori.

Fu proprio il secondo matrimonio della madre con Hugh Dudley Auchincloss, infatti, a spianarle la strada di un futuro rich&glamorous che l’ha condotta all’altare con John Fitzgerald Kennedy. E, soprattutto, a evitarle la sorte della zia e della cugina, Edith ed Ewing Bouvier Beale, anche loro abbandonate dal capofamiglia e finite in miseria, come documenta Grey Gardens, il film di Albert e David Maysles del 1975.

Sposato il futuro presidente degli Stati uniti nel 1953, Jackie è diventata immediatamente un’icona da rotocalco con l’elezione di suo marito nel 1960 quando, appassionata lettrice di Vogue, chiede al sarto americano Oleg Cassini di disegnare e cucire abiti in esclusiva per lei. Ma sapendo che l’etichetta della Casa Bianca non le avrebbe permesso di usare la moda straniera nelle occasioni ufficiali, lo convinse a copiare i capi più belli e di tendenza della moda europea, Chanel e Dior soprattutto.

Gli autentici Dior, però, li indossava all’estero, nelle visite di Stato: nel 1961, a Parigi il suo abito di Dior Haute Couture fece passare in secondo piano le foto della stretta di mano tra suo marito e il generale-presidente de Gaulle. Ed è qui che arriva l’incoronazione dei rotocalchi di tutto il mondo, la leggenda della sua bellezza e della sua eleganza, l’invidia di donne e uomini che proiettavano su di lei le loro revanche impossibili. Morto Kennedy, Jackie non si è arresa.

Sfoggiato un finto Chanel-Cassini al funerale, quando sposa l’armatore greco Onassis nel 1968 è già la donna più alla moda del mondo e amica degli stilisti importanti, in Italia di Valentino. Ma il suo senso del glamour risultò sempre costruito e non autentico.

Ed è proprio per questo che chi la elesse – e continua a ritenerla – un’icona, l’ha sentita un personaggio vicino: quello che è successo a lei poteva succedere a tutti. Purché con una volontà di emergere che neanche le agguerrite digital-socialite di oggi possiedono.