La maggioranza degli avvocati italiani guadagnano meno di 20 mila euro all’anno. In realtà, per molti di loro, la vita è ben più dura, con redditi molto più bassi. Il paradosso è che questi lavoratori sono dipendenti di fatto dei loro studi ma ufficialmente restano «liberi professionisti» privi delle più elementari tutele. Che non siano quelle che possono pagarsi, oltre la cassa forense che chiede contributi fino a 4 mila euro spesso poco inferiori al reddito netto annuo. Una delle associazioni protagoniste della nuova stagione del lavoro autonomo in Italia, la mobilitazione generale degli avvocati (Mga) ha iniziato una raccolta firme per una proposta di legge che stabilisce l’abolizione dell’incompatibilità tra lavoro dipendente parasubordinato e la professione di avvocato. Un’incompatibilità diventata ormai la foglia di fico dello sfruttamento del lavoro autonomo professionale. Ad accompagnare Mga in questa impresa c’è la Consulta delle professioni Cgil e l’associazione nazionale forense (Anf). «Si potrà così sanare una situazione intollerabile» sostiene Mga.