La camera approva la riforma del processo penale presentata dalla ministra della giustizia Marta Cartabia. Ma nell’ultimo intervento prima del voto l’ex ministro e immediato predecessore Alfonso Bonafede, che ha guidato la resistenza 5 Stelle contro le proposte iniziali di Cartabia, ricorda all’aula che si tratta di un testo che porta ancora la sua prima firma. Ad avversari e alleati, in buona parte coincidenti, Bonafede dice: «Il Movimento non accetterà passi indietro rispetto a quello fatto dai due governi precedenti». Due governi, anche quello con Salvini. E ha ragione, perché la norma più contestata, quella che cancella la prescrizione dopo la sentenza di primo grado e che è rimasta nel testo votato ieri in prima lettura, arriva direttamente dal passato gialloverde. Anche se sono stati aggiunti correttivi, un complesso di norme che però allontana la riforma dall’obiettivo dichiarato di ridurre i tempi dei processi. Il nuovo istituto della improcedibilità (una prescrizione processuale) è alla fine diluito per i prossimi tre anni ed escluso per alcune categorie di reati (una lista che comincia con mafia e terrorismo e che prevedibilmente dovrà allungarsi).

Si capisce lo sforzo di Bonafede che deve cercare di tenere il gruppo 5 Stelle, nel quale sono ancora molti a giudicare malissimo la riforma, anche chi vota sì. Il dissenso viene fuori in modo più contenuto rispetto ai 40 assenti sulle pregiudiziali, ma i voti che mancano sono il 20% di quelli del gruppo. Tanti in missione (14) ancora di più assenti (16) un’astenuta (Masi) e due contrari (Frusone e Vianello). Rispetto alla maggioranza teorica che è sempre vastissima (oltre 550 deputate e deputati) il sì finale resta basso, 396 a favore, 3 astenuti e 57 contrari (Fratelli d’Italia e gli ex 5 Stelle che non hanno votato la fiducia a Draghi). Ancora più numerose le defezioni nel campo di Forza Italia (26 assenti su 77) mentre percentualmente minori sono le assenze di Lega e Pd. I democratici rivendicano la mediazione sulla prescrizione e la novità della improcedibilità, «atterraggio morbido» la definisce il capogruppo in commissione Alfredo Bazoli che parla di una «ambiziosa e innovativa riforma organica, in un corretto equilibrio tra efficienza e garanzie».

Occhio ai tempi, però. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza promette l’approvazione del disegno di legge entro la fine di quest’anno, il che significa viste le scadenze di bilancio che il senato dovrà dire sì a questo testo entro fine ottobre. Dopodiché trattandosi di legge delega – salvo le norme sulla prescrizione che sono di applicazione immediata (quando non, come detto, rinviata al 2024) – l’esecutivo prevede altri due anni per l’entrata in vigore dei decreti attuativi e dei regolamenti.

La maggioranza, che fuori dalla necessità comune di restare nel governo Draghi di giustizia non potrebbe neanche parlare al bar, si divide a fette nel corso della votazione sugli ordini del giorno. Esercizio di poca utilità pratica, visto che si tratta di impegni che il governo regolarmente trascura, eppure unico spazio concesso al parlamento dopo che la discussione degli emendamenti è stata cancellata dai voti di fiducia. Gli ordini del giorno diventano allora il terreno perfetto – grande visibilità, nessuna conseguenza – per consentire il liberi tutti. Succede al mattino, su un ordine del giorno di Fratelli d’Italia sulla responsabilità civile diretta dei magistrati. Lega e Forza Italia condividono ovviamente. Di più: stanno raccogliendo le firme per un referendum di identico tenore. Si astengono come massimo segnale di fede al governo che pure con il sottosegretario Sisto (Forza Italia) esprime parere negativo. Che passa, malgrado i sì e gli astenuti sommati assieme siano appena due meno dei contrari. La capogruppo del Pd Serracchiani accusa gli alleati-avversari di sparare contro il loro stesso esecutivo. Polemiche. Assai accese anche tra Giachetti (Italia viva) e Fornaro (capogruppo Leu).

Lo spirito del 3 agosto, del primo giorno cioè del semestre bianco durante il quale il presidente della Repubblica non può sciogliere le camere, prende corpo anche nel pomeriggio. Quando, dopo lunga e inutile mediazione, il governo non accoglie la sostanza di un ordine del giorno della deputata di Facciamo Eco (ex Leu) Rossella Muroni che impegnava il governo ad aggiungere gli eco reati nell’elenco di quelli per i quali l’improcedibilità (e dunque la durata possibile dei giudizi di appello e Cassazione) è prolungata. Niente da fare, parere contrario e questa volta l’ordine del giorno ambientalista non passa per appena cinque voti, favorevoli molti cinque stelle e Pd, malgrado l’intervento dei rispettivi capigruppo a copertura del governo. E così è la Lega a poter accusare di incoerenza gli avversari-alleati e a fare agli altri l’esame di lealtà al governo Draghi