L’appuntamento era atteso, dal momento che i temi della giustizia hanno fatto già ballare il governo delle larghe intese. Ieri pomeriggio toccava alla ministra Anna Maria Cancellieri presentare nella commissione del senato il programma di governo. Ma l’audizione che ne è venuta fuori è stata lo specchio delle difficoltà dell’esecutivo e di questa strana maggioranza. La ministra trasferita dal governo Monti a quello Letta e dal Viminale a via Arenula ha evitato tutti i temi in grado di provocare polemiche tra Pd e Pdl, cioè quasi tutti.

Non una parola su intercettazioni, corruzione, falso in bilancio, responsabilità dei magistrati; figurarsi poi su conflitto di interessi e incompatibilità. Ha parlato a lungo solo di carcere e giustizia civile, due argomenti per carità importanti ma che stanno alla giustizia più o meno come l’autostrada Salerno-Reggio Calabria sta alle infrastrutture. Sono il rifugio classico di chi può solo promettere buone intenzioni, senza rischiare di suscitare alcuna attesa in chi lo ascolta.

Se una parola Cancellieri ha detto sulle intercettazioni – che il Pdl ha provato a mettere in testa all’agenda, costringendo persino il vice ministro Alfano cui si deve la prima e più celebre versione della proposta di «legge bavaglio» a una frenata – è stato solo perché all’uscita l’aspettavano i cronisti. «È un tema che al momento non abbiamo affrontato, se necessario lo faremo», ha svicolato la ministra, facendo più o meno lo stesso sulla legge anticorruzione, che invece sta sul gozzo al Pdl: «Fa parte dei temi che esamineremo durante il percorso e se chiamati risponderemo». In realtà, come ha fatto notare il senatore Felice Casson che è intervenuto in commissione a nome del Pd, la ministra era appunto chiamata a dire quello che il governo intende fare. Ma niente, l’unico tocco di vivacità è rimasto nell’abito blu acceso di Cancellieri, gli uffici le hanno consegnato una relazione con cinquanta sfumature di grigio anestetico e persino il riferimento (indiretto, si capisce) a Berlusconi è risultato digeribile sia agli uni che agli altri. Serve, ha letto la ministra, «uno sforzo congiunto e solidale nella direzione del superamento di un atteggiamento che vede troppo spesso trasformato lo spazio d’azione in un terreno di ostilità e scontro, su aspetti personalistici».

Di aspetti «personalistici», però, si deve obbligatoriamente parlare oggi, sempre al senato, dove Silvio Berlusconi risulta eletto malgrado l’ormai famosa legge del 1957 stabilisca l’ineleggibilità di chi è titolare di concessioni pubbliche (l’etere per la tv). Posto che una decisione negativa per Berlusconi segnerebbe la fine immediata del governo, fondamentale per i sostenitori delle larghe intese sarà evitare la discussione pubblica in aula. Dunque – come spiega qui accanto Luigi Saraceni, che nel ’94 da deputato Pds non seguì l’ordine del gruppo e votò per la decadenza del Cavaliere – meglio chiudere in giunta, dove vale la regola del segreto. E proprio oggi la giunta deve eleggere il suo presidente, tra i rappresentanti delle opposizioni. il Pd con Sel e 5 stelle ha i voti tranquillamente sufficienti per far vincere il rappresentante grillino (l’avvocato Giarrusso) o quello di Sel, (Dario Stefano, un moderato che nella giunta Vendola in Puglia era considerato trait d’union con l’Udc). Più comodo però per i democratici sarebbe affidarsi al presidente leghista, Volpi, una garanzia per il Cavaliere. I grillini hanno già pronto il dossier anti Berlusconi, altre denunce arriveranno dai cittadini ma per il bene delle larghe intese, e di Berlusconi, relatore e presidente potrebbero considerare il caso già chiuso perché risolto negativamente nelle giunte del ’94 e del ’96. Con un leghista alla guida della giunta per il senato, il centrodestra finirebbe per controllare tutti e due gli organismi di garanzia visto che anche alla camera ha prevalso un oppositore di stretta osservanza berlusconiana come La Russa.
Al senato, oggi pomeriggio, il centrosinistra può contare su 14 dei 23 voti della giunta, nel Pd però solo un senatore è decisamente per l’ineleggibilità (Casson), altre due senatrici si sono similmente esposte in passato senza poi confermare la loro scelta e in ogni caso basterebbero tre franchi tiratori democratici per premiare il leghista. Senza contare che l’esito di questa elezione avrà conseguenze sulle altre presidenze che restano da assegnare, visto che i 5 stelle considerano ormai la poltrona della vigilanza Rai un loro diritto e Sel ha ambizioni per il Copasir. E dunque alla Lega bisogna pur concedere qualcosa.