La Polonia riaccende il contenzioso con il Consiglio d’Europa nel giorno in cui Mosca annuncia la propria uscita dall’organizzazione internazionale con sede a Strasburgo. Era già accaduto a novembre scorso quando il Tribunale costituzionale (Tk), fedele alla linea del governo della destra populista di Diritto e giustizia (Pis), aveva messo in dubbio la validità dell’articolo 6 della Cedu in merito alle competenze di Strasburgo sulla valutazione dell’operato dello stesso Tk. Nella sentenza di ieri è stato dichiarato anticostituzionale il medesimo articolo che sancisce il diritto a un equo processo.

Questa volta però il verdetto della corte filo-Pis fa riferimento alla presunta imparzialità del Consiglio nazionale della magistratura (Krs), in cui 15 membri su 25 vengono eletti dal Sejm, la camera bassa del parlamento, dove la formazione fondata dai fratelli Kaczynski ha la maggioranza. Dietro ai pronunciamenti del Tk, c’è ancora una volta lo zampino del «superministro alla giustizia» e procuratore generale Zbigniew Ziobro, secondo il quale il testo impugnato dalla Cedu, in alcune delle recenti sentenze sfavorevoli al governo polacco, non era presente nella versione iniziale della convenzione così come ratificata dalla Polonia nel 1993. Il quotidiano Gazeta Wyborcza ha parlato di «putinizzazione» della giustizia citando l’opinione dell’ex membro del Tk Ewa Łetowska: «Nel 2015 anche la Russia aveva rifiutato di adeguarsi ai verdetti della Cedu», ha commentato in un podcast la giudice in pensione.

Sul fronte Consiglio d’Europa, nel mirino di Ziobro anche la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne. Difficile prevedere gli effetti della sentenza di ieri destinata a mettere ancora più in cattiva luce il governo polacco nell’interminabile scontro tra Varsavia e Bruxelles su stato di diritto e giustizia.