Come in un sistema di porte girevoli esce il Conte ruggente, quello che aveva infiammato l’ammaccato popolo dei 5 Stelle promettendo barricate contro la riforma Cartabia, e al primo incontro con Mario Draghi dal giorno dello scambio di consegne si presenta il Conte prudentissimo della mediazione pacata. Il colloquio dura 40 minuti. Tre temi sul tavolo e sul primo, l’emergenza Covid, l’accordo è totale. Sulla transizione ecologica, fronte incandescente per i 5S che ce l’hanno a morte con il ministro Cingolani, l’avvocato del popolo avanza appena qualche distinguo: «Piena fiducia nel ministro» anche se «ora bisogna passare dalle parole ai fatti». Non è l’assalto all’arma bianca che si aspettavano i 5S. Non gli somiglia neppure.

IL PIATTO FORTE è la giustizia e l’intesa sembra rapida. Conte avanza le sue critiche. Draghi concede la possibilità di «studiare qualche modifica ma senza modificare l’impianto». L’ex premier, all’uscita, rispolvera il lessico leguleio: «Mi rimetto al parlamento e a soluzioni che non siano ideologicamente convincenti ma tecnicamente sostenibili. Il Movimento sarà molto attento per miglioramenti che possano scongiurare soglie di impunità». Ai 5S non piace neppure questo passaggio. Si aspettavano Dibba il Radicale. Si ritrovano Conte il Temporeggiatore.

SUI TEMPI DRAGHI è irremovibile: almeno un ramo del parlamento, cioè la Camera, deve approvare la riforma nei tempi concordati con Bruxelles, dunque prima della pausa estiva. Messi da parte i toni comme il faut, i guai cominciano qui. «Di fiducia non si è parlato», giura Conte e almeno per ora ha ragione. Ma il problema non svanisce per non essere stato nominato. La legge, attualmente in commissione, dovrebbe arrivare in aula il 23. Il termine per la presentazione dei subemendamenti scade oggi. È probabile che l’approdo in aula slitti, ma non di moltissimo: sino alla prima settimana di agosto nell’ipotesi più vertiginosa, la prossima settimana in quella più probabile. Se ci fosse un accordo sarebbe tutta discesa: il governo assumerebbe le «modifiche tecniche» in un emendamento sul quale porre subito la questione di fiducia. Fine dei giochi.

SOLO CHE QUELL’ACCORDO non sembra affatto a portata di mano. La ministra Marta Cartabia fa capire di non essere affatto favorevole: «È sbagliato dire ’riforma Cartabia’. La mia è invece la ’mediazione Cartabia’ ed è frutto di una responsabilità condivisa approvata dall’intero governo dopo mesi di dialoghi». Traduzione: la mediazione c’è già stata e non c’è più nulla da trattare. Pare infatti che lo stesso premier abbia suggerito al suo predecessore di provare a confrontarsi direttamente con la guardasigilli.

IL SALVINI-PENSIERO, invece, non richiede traduzioni di sorta: «Sulla giustizia non si cambia una virgola». Forza Italia e Italia viva concordano. Per il Pd e Leu, al contrario, una possibilità d’incontro c’è. Il segretario dem Letta, dopo aver aperto alle richieste di modifica dei contiani tra gli applausi di metà del suo partito e i mugugni dell’altra metà, si «rallegra» per un’intesa che in realtà non c’è. Il relatore Pd in commissione, Franco Vazio, ipotizza una soluzione: lasciare al giudice la facoltà di prorogare per tutte le fattispecie di reato da due a tre anni i tempi dell’appello prima che si abbatta la mannaia dell’improcedibilità. Per ora, nel testo, la facoltà di proroga è limitata a mafia, terrorismo e reati contro la Pubblica amministrazione ma solo nei casi più complessi.

LA CORELATRICE 5 Stelle Giulia Sarti è più sbrigativa: «La mia opinione non è cambiata». Con riferimento alle parole dialoganti pronunciate a caldo: «Non voterò mai questa schifezza anticostituzionale». LeU infine propone di riprendere la riforma Orlando affidando al giudice la facoltà di raddoppiare i termini per l’appello in caso di condanna in primo grado: «Se la riforma complessiva funziona i casi saranno in realtà pochi e per portare a casa un impianto complessivamente garantista mi sembra un prezzo che si può pagare», spiega Federico Conte, esponente di LeU in commissione.

GIÀ, MA COSA SUCCEDE se l’accordo non si trova? Ci sono due sole strade: rinviare tutto a settembre, ipotesi che Draghi aborre, o battere i pugni sul tavolo con quel voto di fiducia, magari su un emendamento non concordato al 100%, di cui ieri non si è parlato.