«Questo no! Resta qui!»: così mi ha detto qualche tempo fa Giuseppe Prestipino quando, insieme ad altri amici, abbiamo raccolto su sua richiesta i volumi della sua biblioteca per trasferirli dove piaceva alla sua volontà. Tutti i libri dovevano essere sistemati negli scatoloni tranne uno: La montagna incantata di Thomas Mann. È l’unico classico che Prestipino ha sempre continuato a leggere in formato cartaceo. Una passione particolare per la vicenda e per i protagonisti, per lo scontro fra Settembrini e Naphta, per l’autore del romanzo. Prestipino ci ha lasciato e il vuoto che si è aperto è incolmabile.

 

Era nato a Gioiosa Marea, in Sicilia, il 1 maggio del 1922, 98 anni fa. Andavamo in diversi fra amiche e amici, compagne e compagni a trovarlo a Civitavecchia, dove viveva in una bella casa con vista sul mare, non solo ma soprattutto il giorno del suo compleanno. Era ancora del tutto lucido, arguto, attentissimo e parlare con lui era un piacere.

A lungo militante, dal 1943, del Partito comunista italiano (membro anche del Comitato centrale), del sindacato, della stampa comunista, e infine nel Partito della Rifondazione Comunista, Prestipino era stato redattore della rivista Critica Marxista, del cui comitato editoriale faceva ancora parte. Era tra i fondatori e i protagonisti della International Gramsci Society Italia e, per il Dizionario gramsciano, aveva scritto moltissime voci, soprattutto filosofiche, estremamente competenti e ricche. Aveva insegnato nelle università, da ultimo presso l’università di Siena, Filosofia della storia e Filosofia teoretica. Era anche stato presidente del Centro per la filosofia italiana, di cui ricopriva ora la carica di presidente onorario.

Tra i suoi tantissimi libri, L’arte e la dialettica in Lukács e Della Volpe (1961), Natura e società (1973), Da Gramsci a Marx (1979), Modelli di strutture storiche (1993), Narciso e l’automobile (2000), Realismo e Utopia. In memoria di Lukács e Bloch (2002), Tre voci nel deserto. Vico Leopardi Gramsci (2006) e, di prossima pubblicazione, Su Lukács. Frammenti di un discorso etico-politico.

Un ricordo su tutti: chiamato sul palco per una premiazione nel corso di un’iniziativa per l’anniversario della fondazione del Pci, prese il microfono e, sottolineando il fatto che non era sua intenzione prendere la parola, iniziò un ragionamento con il suo modo pacato e, poi, all’improvviso, la sua voce si inasprì facendo presente che si stava parlando poco di Gramsci e che coloro che volevano sottoporre a critica il «socialismo reale» non dovevano dimenticare che, per anni, quel mondo aveva rappresentato per masse di subalterni e per popoli interi un’utopia, il sogno di un luogo che si pensava potesse essere costruito realizzando il «mondo di liberi e uguali» di cui aveva scritto Marx. E Gramsci, concludeva Prestipino, dava molta importanza alle utopie come espressione del «senso comune», quindi utopie da riformare e da sottrarre ad una tutela quasi religiosa per ricondurle sul terreno realistico e laicistico del mondo e della storia.

Da qui, Prestipino impostava il suo ragionamento sul comunismo e su cosa fosse. Il comunismo, al di là dell’economicismo che ne riduce di molto la portata rivoluzionaria e trasformatrice pur essendone uno degli elementi di base, poggia su processi di auto-educazione che si presentano nelle forme, non realizzate, però, storicamente, della democrazia socialista. Questo è il modo quasi esclusivo con il quale il comunismo può proporsi come orizzonte dell’umanità. Per cui la lotta di classe è coscienza di classe, scelta che si apre alla realtà del possibile.