A ottantadue anni Giuseppe De Rita dice di sentirsi «profondamente moroteo». Della cultura del leader della Democrazia Cristiana Aldo Moro, il fondatore del Censis rivendica l’idea di una politica intesa come «interpretazione e orientamento». Al Cnel, nel cuore di Villa Borghese a Roma dove ieri ha presentato il 48° rapporto sulla situazione sociale del paese, De Rita ha evocato più volte il ritorno al «primato» della politica. Visto che al potere in questo momento c’è un leader di schiatta democristiana, viene il dubbio che De Rita stia facendo l’elogio di Matteo Renzi che più volte ha richiamato un simile primato.

«Al presidente del Consiglio sono grato di averlo fatto, perché oggi c’è un grande bisogno di tornare a fare politica – risponde De Rita – Ma la politica non deve cedere alla tentazione di identificarsi con lo Stato. La politica è l’arte paziente del raccordo, non la mera gestione del potere organizzato». Tale gestione De Rita la vede nell’insistenza sulla riforma del Senato, in quella della legge elettorale, e in tutte quelle misure attraverso le quali la politica parla di se stessa provocando disaffezione, cinismo e protesta nei cittadini. «Se Renzi intende la politica come il primato della sua autonomia, allora resterà seppellito nella sua giara».

Le sette giare
Quella della società delle «sette giare» è l’immagine caratteristica del rapporto Censis di quest’anno. La giara dove Renzi rischia di rinchiudersi è un mondo auto-referenziale. Non riuscendo a modificare i circuiti di potere sovraordinato, la politica viene riconfinata nell’ambito nazionale. Chi vuole riaffermarne il primato si sta in realtà prendendo la rivincita sulla rappresentanza, sui «corpi intermedi» come il sindacato, sulle istituzioni locali. «Il primato della politica – continua De Rita – rischia di restare senza efficacia collettiva, a causa della perdita di sovranità verso l’alto. E perde potere reale verso il basso. La politica rischia di restare confinata al suo stesso gioco».

Una giara, piena di energia inespressa, schiacciata da quelle molto più grandi che il Censis vede nel potere sovranazionale; nel «disordinato funzionamento dei poteri istituzionali»; nella «crescente estraneità ai destini del paese»; nella strapotenza della comunicazione o nell’economia e lavoro sommersi «sempre più ambigui». «Sono sempre stato favorevole per l’autonomia e la supremazia della società sullo Stato – continua De Rita – Oggi però c’è una società liquida che mette in crisi le giunture sistemiche della vita collettiva. C’è un vero pericolo di secessionismo, populismo e autoritarismo. Se la politica vuole sopravvivere deve sganciarsi dal potere statale, evitare di volere fare orgogliosamente da sé e ricominciare ad agire con la società».

Secessioni sommerse
Travolta dall’affermazione di leadership auto-referenziali e da una una guerra di classe dall’alto, in questa «società liquida» si affermano poteri sommersi e aumenta a dismisura il tasso di corruzione, come dimostrano lo scandalo di «Mafia Capitale» a Roma o il Mose a Venezia. « In queste situazioni si sono formati meccanismi di piccole secessioni sommerse – sostiene De Rita – A Roma cacicchi e capibastone si sono organizzati in un sistema. È un meccanismo in cui un intero pezzo di potere è stato sequestrato da un piccolo gruppo. A Venezia con il Mose, una piccola frangia ha sequestrato il potere dello Stato. Sono casi diversi che confermano un dato: in Italia ci sono sempre stati i cacicchi locali a capo di un pezzo di società. Quando si formano gruppi possono arrivare ad esercitare un potere a livello nazionale». A Roma la secessione ha creato un potere separato che lucrava sulla gestione del sistema dell’accoglienza dei migranti, e in particolare sui campi rom. Da un’intercettazione si è capito che lo sfruttamento della «nuda vita» è diventato più conveniente dello spaccio di cocaina. Com’è stato possibile arrivare a questo punto? «È il meccanismo di potere ad avere spinto ad una simile trasformazione – risponde De Rita – Se ci fosse stata la possibilità di fare appalti in maniera adeguata, i soggetti sarebbero senz’altro più responsabili. Il meccanismo delle gare si è rilevato un disastro. La cooperativa «29 giugno» di carcerati è entrata in questo gioco Probabilmente perché hanno constatato che se non entravano in gruppo con gli altri non avrebbero avuto più potere. Questo ha provocato una piccola secessione che si è auto-governata.

Scorticarsi la pelle
In questa crisi della politica e della società qualcuno auspica il ritorno a quelle che De Rita definisce le «vecchie cinghie di trasmissione», i corpi intermedi. Altri invece sperano di creare nuove istituzioni della mediazione sociale e della partecipazione democratica. «Sono sempre dell’opinione che l’invenzione del nuovo in questi casi non funzionano – risponde De Rita – Preferirei un ripensamento profondo dei partiti o dei sindacati, del volontariato o del terzo settore. Avere un’esperienza o una storia è importante. Fare una cosa nuova, rinascere dal nulla, è molto difficile. Per farlo ci vuole una potenza di fuoco, la radicalità dello scorticarsi la pelle. Diventare diversi non è facile oggi».