«L’Irlanda è stata la prima colonia britannica, per altro in Europa, ed è ora l’ultima di un superbo e insieme fragile edificio politico che ha perso tutti gli altri pezzi che con quei mezzi [‘la crudeltà dei tiranni e la vanità degli idioti’] aveva conquistato». Introduce così Giulio Giorello uno scritto di Riccardo Michelucci che è tra i volumi sul conflitto irlandese più importanti degli ultimi decenni.

LA STORIA D’AMORE tra Giorello e l’Irlanda è di lunga data, ed è attraversata da pubblicazioni fondamentali per avvicinare il tema del conflitto in maniera laica e lucida. I suoi scritti irlandesi abbracciano l’opera di vari rivoluzionari, da Theobald Wolfe Tone a John Mitchel, da James Connollly a Michael Collins, per arrivare a uno dei fondatori della moderna Ira, Joe Cahill, e a quel martire dell’indipendenza e della sinistra internazionale che fu Bobby Sands, a cui Giorello dedica parole appassionate in uno degli ultimi libri, Libertà, del 2015.

Quando l’anno precedente uscirono in Italia le poesie del Presidente d’Irlanda Michael D. Higgins, nella postfazione Giorello scrive: «il caso irlandese getta luce in tutti i luoghi del mondo ove sembra che valga la pena ‘spingerci avanti’ per uscire ‘fuori dall’oscuro’, mentre ‘esser rimossi dalla memoria / è morire due volte’. Breve suggerimento: odiare mai; perdonare forse, ricordare sempre».
In queste parole si ritrova tutto il coraggio di un filosofo che amava la libertà più di chiunque altro, e che era in grado di utilizzare il pensiero repubblicano dell’inglesissimo John Milton per sottolineare l’anelito all’indipendenza del popolo dell’isola accanto, l’Irlanda, prima colonia britannica in Europa.

PER IL FILOSOFO e il matematico Giorello non c’era differenza tra politica e letteratura. E il suo scrittore irlandese più amato, James Joyce, era per lui un esempio di democrazia. E se i suoi scritti appaiono difficili, disse in un festival letterario, «è perché la democrazia è difficile».
Lontano dalle sirene della spiritualità, vedeva nell’esempio irlandese non la trita dicotomia tra fazioni religiose, ma un percorso di superamento delle divisioni in nome della libertà dell’uomo. Per questo amava profondamente quei leader protestanti che nel diciottesimo secolo fecero nascere il repubblicanesimo irlandese. Tra tutti Wolfe Tone, condannato a morte per alto tradimento dopo la rivolta del 1798, e (forse) morto suicida in carcere.
«Nulla pare così prezioso come la libertà quando ormai la si è persa», scrive Giorello, e «Tone e molti altri tra i repubblicani irlandesi ci insegnano ancora cosa si debba fare perché questo non accada».