Giulio Brogi era un burbero, un birichino, un uomo che si godeva la vita, un grande attore, un rivoluzionario, un eroe della Resistenza, un anarchico. Aveva conosciuto i grandi del cinema (I sovversivi e San Michele aveva un gallo con i fratelli Taviani, con Bertolucci in Strategia del ragno, Viaggio a Citera con Angelopoulos, Il segreto del bosco vecchio con Olmi…), interpretato per decenni grandi autori teatrali, lasciato un ricordo indelebile in migliaia di giovani attraverso il ruolo di Enea in una delle primissime serie televisive di inizi anni Settanta. Nel mio film (Non lo so ancora, 2012) doveva fumare sigarette, lui che ormai era passato alla pipa. Questo tornare indietro nel tempo non gli dispiacque affatto, fumava serenamente una decina di sigarette al giorno, felice di questa riscoperta dei sapori, accanto a Morando Morandini che succhiava l’ultima parte della cicca fino a quasi bruciarsi le dita.

Non si somigliavano affatto i due uomini, nonostante l’attore fosse stato scelto per interpretarlo, a modo suo, liberamente. Si stimavano reciprocamente, si annusavano, non essendosi conosciuti bene fino a quel momento, in tarda età. Brogi senza difficoltà entrò nei panni del giornalista, nostalgico della moglie, consapevole di averla trattata a volte con noncuranza, perso nel suo lavoro. Brogi è stato un amante delle donne, un uomo lusinghiero, cavalleresco, d’altri tempi.

DI CERTO negli anni della giovinezza, per via di alcuni eccessi, qualcuno ebbe delle esperienze poco piacevoli con lui a livello professionale: per anni il cinema lo trascurò, lo mise di lato, lo dimenticò. Ma Brogi non era uomo da tenere il muso, superava col sorriso le sfide della vita, si inserì sul mio set con la gioia leggera della giovinezza (compì ottant’anni la prima settimana di riprese). Ricordo ancora bene quando lo attendevo al bar per il nostro primo appuntamento. Avevo incontrato prima di lui altri nove attori tra i settanta e gli ottant’anni, che non andavano bene. Ero andata la sera prima a vederlo a teatro, al Valle non ancora occupato. Ma non avevo avuto il coraggio di andare a salutarlo dietro le quinte, per timidezza (cosa di cui successivamente mi rimproverò).

ARRIVÒ con qualche minuto di ritardo e ordinammo due caffè. Dopo cinque minuti che parlavamo con grandissima confidenza, venuta fuori dal nulla, gli diedi la sceneggiatura, dissi La parte è tua, leggi e fammi sapere. Lui era contento, sorrise e mi disse “ti chiamo entro stasera”, che avrebbe letto la sceneggiatura e mi avrebbe fatto sapere. Gli scrissi il mio numero di telefono fisso e quello del cellulare sulla prima pagina del copione. Passai ore angosciata, di attesa, con mio figlio di pochi anni che frugolava in giro per casa, mia madre che lo teneva buono e io che guardavo il telefono come fosse l’oracolo di Delfi. Nell’ansia decisi di uscire, di andare a fare una passeggiata a Campo de’ Fiori. Presa dai miei pensieri mi sentii chiamare. Era Nanni Moretti che girava a Palazzo Farnese le scene del Papa in Habemus Papam.

La sera si cominciava ad avvicinare. Mi propose di prendere un aperitivo con lui e un suo assistente. Accettai. Dopo pochi scambi di battute gli confessai la mia attesa trepidante di una risposta di Giulio Brogi. Lui, curioso come una scimmietta, volle sapere tutto e io non riuscire a tenere nulla per me. Poi lo salutai e tornai a casa. Mia madre aveva risposto al telefono fisso: Giulio aveva chiamato. Lo richiamai immediatamente. Lui mi disse:«Mia moglie ha adorato la tua sceneggiatura, faccio il film». Il resto è scritto, girato, montato. Il dolore acuto per la sua scomparsa è pungente.