Un omaggio a Giuliano Montaldo viene celebrato domani al cinema Mexico grazie alla Milanesiana di Elisabetta Sgarbi. Nel pomeriggio dalle 14.30 proiezione di Sacco e Vanzetti seguito da Giordano Bruno. In serata dalle 20 incontro dibattito e a seguire l’esordio registico di Montaldo, Tiro al piccione del 1961, strapazzato da destra e sinistra alla presentazione veneziana dell’epoca, perché racconta di un repubblichino che ha sbagliato strada, «il piccione ero io» scherza oggi Montaldo «impallinato da tutti». Molti film sono passati da allora, Montaldo, oggi novantunenne, ha scritto la sua avventurosa autobiografia, Un grande amore (ed. La nave di Teseo). Laddove il grande amore è il cinema, ma soprattutto Vera Pescarolo consigliera e moglie di una vita. E si comincia con una curiosità legata al 22 febbraio 1930. La data di nascita di Giuliano a Genova. Solo che «questa è anche la data del matrimonio del papà e della mamma di Vera, mia moglie da 60 anni – racconta Montaldo – il suo babbo, Leonardo Pescarolo e sua madre Vera Vergani si sono sposati a Roma proprio quel giorno e Vera è nata esattamente nove mesi dopo. È accaduto e mi piace ricordarlo». Quasi la predestinazione per un grande amore.

ANCHE se poi Vera ha dimostrato di non essere un tipino conciliante. Per esempio non ama(va) che Giuliano facesse l’attore. Eppure lui ha cominciato facendo l’aiuto regista e arrotondando come interprete. E una sera, durante la proiezione di un film in cui Giuliano era interprete Vera pronunciò a voce alta la fatidica frase «certo che come attore sei proprio un cane». Non un commento piacevole, sentito anche da altri spettatori. La nemesi è avvenuta molti anni dopo. Francesco Bruni ha scritto e diretto Tutto quello che vuoi, pensando proprio a Montaldo come interprete. E così è stato. Anzi Giuliano è stato premiato con il Nastro d’argento per quel lavoro e al momento della consegna del riconoscimento ha pensato di togliersi quel sassolino «ero tentato di abbaiare, ma quella sera l’ho vista commossa e allora non me la sono sentita. Quando mi hanno dato il premio ha dovuto cedere. In realtà quella di Vera era una provocazione, mi prendeva in giro perché mi voleva regista».

QUELLA DI MONTALDO è stata una carriera segnata da grandi successi talvolta di critica talvolta di pubblico, anche corteggiato da Hollywood, ma sostanzialmente fedele nel denunciare l’intolleranza e nell’impegno civile che ha contraddistinto molti suoi lavori (compreso L’Agnese va a morire, dedicato alla figura di una staffetta partigiana). Con Sacco e Vanzetti ha affrontato una vicenda relativamente poco nota in Italia «tutto era avvenuto in epoca fascista e quindi qui non si parlava di due anarchici. Mentre negli Usa conoscevano perfettamente quel che era successo, anche perché là durante il processo c’erano state manifestazioni che chiedevano la libertà per Nick e Bart. Ma il Massachusetts era uno stato molto conservatore e gli era capitata l’occasione di poter incriminare due di sinistra per dare l’esempio e definirli criminali. Non tennero neppure conto della testimonianza del console italiano di Boston che dichiarò sotto giuramento che Sacco il giorno dei fatti era nel suo studio per chiedere di poter rimpatriare. Dopo il film, molti hanno studiato di nuovo il caso e hanno portato tutto al governatore del Massachusetts Dukakis dicendo che si trattava di omicidio di stato. Così, 50 anni dopo l’esecuzione, il governatore decise di intervenire per scagionare i due italiani».
Insieme a Riccardo Cucciolla che ha interpretato Nicola Sacco c’era Gianmaria Volonté come Bartolomeo Vanzetti, lo stesso attore che un paio d’anni dopo sempre con Montaldo diventa Giordano Bruno. E sempre Montaldo racconta un aneddoto curioso che spiega l’approccio di Volonté. La notte precedente la scena del rogo Giuliano e Vera dormono nella loro camera d’albergo quando all’improvviso irrompe Volonté «non so come abbia fatto, forse avevamo lasciato la porta aperta, comunque sia entrò e disse ‘io sto per morì, domani vado al rogo e voi state a dormire?’. Poi si mise a letto con noi anche lui e si addormentò. Era un personaggio incredibile, che viveva davvero i suoi personaggi, meno male che lì era vittima e non carnefice».

SE CON VOLONTÉ il rapporto è stato ottimo, non sempre i rapporti con i suoi attori sono stati idilliaci. Per esempio con Klaus Kinski durante le riprese di Ad ogni costo. «era fuori di testa, non durante le riprese, lì era perfetto, ma appena finiva diventava un altro. In Germania quando l’avevo scelto mi avevano detto che era matto, ma ho detto ci provo. Era andato tutto bene sino agli ultimi giorni di lavorazione quando ha rotto per gioco un dito a un capomacchinista. Abbiamo dovuto imbarcarlo per evitare guai». Anche con John Cassavetes, protagonista per Gli intoccabili, ci sono stati problemi «lui era un bravo regista ma sul set continuava a chiedere perché questo, perché quello. Allora gli ho detto facciamo così, tu fai il regista io l’attore ma smettiamola. Abbiamo litigato duramente, ma a lui servivano i soldi per realizzare il suo film, così abbiamo fatto pace e siamo poi andati d’accordo».
Una costante di tutti i lavori di Montaldo è però la presenza di Vera, sorella di Leo Pescarolo, produttore che ha fatto esordire un Giuliano innamorato, accanto a lui anche durante le lunghe esotiche riprese del Marco Polo televisivo. Montaldo poi per qualche anno è stato responsabile di Raicinema e ha contribuito a realizzare i film di Soldini, Pane e tulipani e Giordana I cento passi, «dire dei sì è facile, sono i no che sono dolorosi».