Un giudice federale di San Francisco ha bloccato l’ordine esecutivo attraverso il quale Donald Trump aveva sancito il termine del Deferred Action for Childhood Arrivals (Daca), il programma federale istituito da Obama per consentire ai ragazzi americani arrivati da bambini negli Stati uniti a seguito di genitori illegali, di studiare e lavorare legalmente nel Paese.

IL PROGRAMMA INTRODOTTO nel 2012 ha evitato l’espulsione a circa 800mila persone, bambini diventati adulti che ormai lavorano, pagano le tasse e contribuiscono al benessere americano e che, secondo il decreto di Trump, dopo marzo sarebbero stati nuovamente a rischio di espulsione. Fortunatamente la corte californiana ha stabilito che, in attesa di un pronunciamento definitivo della giustizia, ci sarà un ripristino su tutto il territorio statunitense del Daca.

A PRESENTARE L’APPELLO erano stati diversi procuratori generali e associazioni che proteggono i diritti umani; il giudice ha motivato la sentenza contestando i fondamenti giuridici che avevano indotto il Ministero della giustizia a dichiarare il Daca illegale.

Proprio lo stesso Trump, poche ore prima della risoluzione della corte di San Francisco, aveva presieduto un incontro bipartisan tra repubblicani e democratici, nel tentativo di trovare un compromesso sulla legge che subentrerà al Daca.

LA RIUNIONE tra i parlamentari dei due partiti era stata eccezionalmente trasmessa in diretta per quasi un’ora, mossa insolita per questo tipo di negoziati.

Secondo il New York Times le ragioni di questa decisione andrebbe ricercata nella volontà dell’amministrazione Trump di dimostrare che il presidente, contrariamente a quanto viene affermato dallo scrittore e giornalista Wolff nel suo discusso libro Fire and Fury, che scandaglia la Casa Bianca di Trump, è in grado di condurre incontri di questo spessore. Nel libro la parte del leone la fa Steve Bannon, ex consigliere di Trump e proprio in questi giorni cacciato anche dal portale di estrema destra Breitbart news dove era ritornato dopo essere stato allontanato dalla Casa bianca.

LE AFFERMAZIONI DI BANNON non erano piaciute a Trump che l’aveva pubblicamente attaccato di rimando, mentre l’ideologo del suprematismo bianco cercava di smorzare i toni; alla fine, dopo aver perso l’appoggio dei suoi principali finanziatori Bannon si è dovuto quindi «dimettere» come direttore di Breitbart, terminando così la parabola della sua carriera e dimostrando come l’estrema destra Usa si stia spostando leggermente più al centro, mascherando appena il suo fin troppo visibile fanatismo e razzismo.

A contribuire a questo ultimo tassello di quella che appare come una rovinosa caduta, avrebbero contribuito – e non poco – le sconfitte nelle elezioni locali dei candidati vicini a Bannon, strada recentemente imboccata anche da Joe Arpajo, ex sceriffo di ultra destra dell’Arizona che ha annunciato la sua candidatura come senatore; Arpajo è il perfetto candidato impresentabile dei suprematisti bianchi, amato sia da Trump che da Bannon per le sue posizioni fieramente misogine, xenofobe, islamofobe ma, candidandosi ora a elezioni che avverranno ad agosto, ha tutto il tempo per naufragare malamente sotto un fuoco di critiche bipartisan.

UN ALTRO BARLUME di ragionevolezza è arrivato dalla Florida, dove, dopo una conversazione con il governatore repubblicano, il segretario degli interni Zinke ha detto di aver cancellato la possibilità di iniziare qualsiasi nuova trivellazione per estrarre petrolio o gas, come annunciato da Trump solo pochi giorni fa
La notizia è stata bene accolta anche dal governatore dello Stato di New York che, su Twitter, ha provocatoriamente chiesto dove bisogna firmare per escludere anche il suo Stato dal piano di trivellazioni per l’estrazione di petrolio e gas.