Mentre la vita al tempo del Covid-19 sembra andare all’indietro tra ricorrenze e lutti, prontamente rimbalzati dalla caciara social, c’è chi come Franco Battiato chiuso nel suo silenzio pieno di mistero ha compiuto ieri l’altro 75 anni. Dunque, il suo è stato un compleanno passato un po’ in sordina, ma si sa che l’uomo è anche e soprattutto il suo stile e non risulta a memoria che abbia mai pubblicizzato i suoi anniversari. Tuttavia l’abbraccio virtuale dei suoi fan non è mancato. Qui però si è sempre nell’ambito della cartolina d’auguri, laddove la Universal fa tutt’altro e lo omaggia reimmettendo sul mercato a distanza di poco più di trent’anni il suo primo live. Quel Giubbe Rosse, uscito nel 1989 anche in versione spagnola, che riascoltato oggi rivela tutta la sua carica innovativa e ricostruisce anche la leggenda, così piena di aneddoti, dei concerti dal vivo tenuti da Battiato durante tutta la sua carriera.

INNANZITUTTO, una curiosa annotazione accomuna Giubbe Rosse a Torneremo ancora, ultima sua uscita, anche questa live. Infatti, osservando la reciproca disposizione dei brani e degli opening, affidati agli inediti cantati in studio che danno pure il titolo ai due album, si può supporre che Giubbe Rosse abbia fatto da matrice a quest’estremo album come per i precedenti live e antologie. Per giunta, altre connessioni s’insinuano nelle loro tracce. Due su tutte: la presenza sia nell’uno che nell’altro di E ti vengo a cercare, brano guida di Fisognomica, l’album alla base del tour che originò Giubbe Rosse, e di Fleur Jaeggy quale autrice dei testi di L’oceano di silenzio e Come un cammello nella grondaia. Non ebbe il solito strepitoso successo dei dischi di inizio anni 80; vendette sì, attestandosi però al decimo posto delle classifiche. Da qualche tempo, Battiato sembrava ripiegato su di sé per come andava ripensando la sua carriera, anche produttiva (con canzoni prestate a Milva o la presenza sul palco di Giuni Russo) e Giubbe Rosse fu una sorta di prova generale.

CON STRUMENTAZIONE all’avanguardia per l’epoca, per poter risuonare brani appartenenti alle due fasi maggiori della sua discografia: la sperimentale degli anni settanta (Sequenze e frequenze e Aria di rivoluzione e a ancor di più No U Turn) e quella più propriamente pop partita sul finire di quel decennio con L’era del cinghiale bianco per poi proseguire fino ad oggi ed allora tagliata sul termine convenzionale e casuale del «secolo breve».