Matteo Renzi ha abbassato le tasse in maniera strutturale per oltre 21 miliardi nei mille giorni che ha passato a Palazzo Chigi. Ha assicurato gli 80 euro di bonus Irpef a 11 milioni di lavoratori dipendenti con un reddito tra gli 8 e i 26 mila euro con una spesa di quasi 9 miliardi di euro all’anno. Oltre al super-bonus triennale (decrescente) sugli sgravi contributi per i neo-assunti con il Jobs Act, ha assicurato alle imprese l’eliminazione dell’Irap. L’operazione ha ridotto il costo del lavoro per 4,3 miliardi. A 19,6 milioni di proprietari di prima casa è stata garantita l’abolizione della Tasi che ha permesso di risparmiare 3,5 miliardi. Il 90% della platea interessata è composta da operai, impiegati e pensionati. Solo il 10% sono imprenditori, liberi professionisti e freelance.

I precari e i giovani? Non pervenuti. Loro, avranno immaginato a Palazzo Chigi al ministero dell’Economia e nel Pd non hanno una casa, un contratto, spesso un lavoro e non sono un’impresa. Perché allora esentarli dal tributo comunale per i servizi indivisibili o il bonus Irpef? Senza contare l’imposta sul reddito delle società (Ires). L’ex governo Renzi ha abbattuto l’aliquota dal 27,5 al 24% per oltre 700 mila società di capitali, pari a un risparmio di 3,9 miliardi di euro. Questa misura non riguarda le piccole-micro imprese: ditte individuali o società di persone. Sono state inoltre introdotte altre misure come l’esenzione dell’Imu sui terreni agricoli posseduti da coltivatori diretti (meno tasse per 120 milioni di euro), l’abolizione dell’Irap in agricoltura (sgravio da 196 milioni di euro) e l’abolizione dell’Imu sugli imbullonati. Misura che è andata a vantaggio quasi esclusivamente delle imprese medio-grandi. Costo: 530 milioni di euro.

Secondo i calcoli dell’ufficio studi dell’associazione degli artigiani e delle piccole imprese (Cgia) l’effetto di questa politica è stato quasi «nullo» per «poco meno» di 3 milioni di partite Iva: artigiani, commercianti e lavoratori autonomi. Un segmento importante del ben più ampio lavoro autonomo e indipendente in Italia, costituito anche da freelance e lavoratori che oscillano costantemente tra impieghi parasubordinati e intermittenti, imprese individuali e cooperative, ad esempio. Non di soli «piccoli produttori» è fatto il Quinto stato, ma di professionisti ordinisti come avvocati, architetti o giornalisti fino ai co.co.co come i ciclo-fattorini di Foodora.

«Se dal 2011 avevamo subito un costante aumento del prelievo fiscale, a partire dal 2014 si è invertita la tendenza – sostiene il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo – anche se la stragrande maggioranza dei benefici non ha interessato il popolo delle partite Iva, costituito da ex operai, giovani freelance e liberi professionisti. Ancora una volta i sindacati e la Confindustria e l’insensibilità della classe politica hanno prevalso sugli interessi dei piccoli produttori».

La Cgia si occupa del segmento delle micro-imprese senza dipendenti e riconosce che ha beneficiato del credito di imposta del 10% dell’Irap, dell’incremento delle deduzioni forfetarie della base imponibile Irap, della riduzione dell’Inail e del diritto camerale. Una contrazione che è stata più che compensata dall’aumento dei contribuiti previdenziali avvenuto in questi ultimi anni a causa della «riforma» Fornero. Da una simulazione è emerso che la pressione fiscale su un idraulico senza dipendenti con un reddito di 35 mila euro l’anno sfiora ormai il 51%.

Uno dei luoghi comuni legati alle partite Iva è che siano tutte «evasori fiscali». Secondo le tabelle contenute nella relazione sull’economia non osservata del ministero dell’economia l’evasione fiscale sarebbe al 59%. Dall’analisi condotta sui soggetti sottoposti agli studi di settorenel 2014 risulta inveceche il 76%del totaledei lavoratori hanno dichiarato 42 mila euro. «Se l’evasione Irpef ammontasse al 59%, queste attività dovrebbero dichiarare mediamente più del doppio. Una situazione, viste le difficoltà del nostro Paese, pressoché impossibile» aggiunge Zabeo della Cgia.

Il nuovo lavoro autonomo è ben più vasto della categoria presa in esame e contempla lavoratori poveri con redditi nettamente inferiori a quelli su cui si sta ragionando. A questo proposito va ricordato che il governo Renzi ha recepito, dopo una serie iniziale di errori catastrofici, le principali istanze dei freelance (con in testa i milanesi e i romani dell’associazione Acta) che si sono battuti contro l’aumento proporzionale della aliquota contributiva gestione separata Inps dal 27,72% al 32,72%. Un altro «regalo» della Fornero. Con la legge di bilancio 2017 il governo Renzi – Gentiloni ha abbassato l’aliquota 2017 al 25% più lo 0,72% per finanziare maternità, assegni familiari, degenza ospedaliera, malattia e congedo parentale. Dal Senato si aspetta l’approvazione definitiva di un Ddl che riconosce alcuni diritti (malattia, maternità, accesso ai fondi Ue) ai lavoratori in gestione separata. Al Ddl sul lavoro autonomo e lo smart working sono stati presentati 58 emendamenti e 26 ordini del giorno in commissione Lavoro al Senato. Il testo dovrebbe arrivare in aula intorno al 10 aprile.