La ripresa «a passo moderato e stabile» – così ieri il presidente della Bce Mario Draghi l’ha definita all’Europarlamento – costringerà oggi il governo Renzi a fissarla allo 0,8-0,9% sul Pil, anche se il ministro dell’economia Padoan si è detto «fiducioso» di raggiungere l’1%. Il ballo del decimale a cui più del solito si è dedicato l’esecutivo nelle ultime settimane potrebbe terminare oggi quando il consiglio dei ministri dovrebbe – il condizionale è d’obbligo – aggiornare la nota del Documento di economia e finanza.

In soli sei mesi il governo ha sbagliato le previsioni: la crescita doveva essere all’1,2% ed è realmente allo 0,7%, come attestato di recente dall’Istat. La ricaduta sul deficit dovrebbe essere attutita dalla revisione operata dall’Istat per il 2014: da 0,3 a +0,1%. Nel bisbiglìo interminabile di anticipazioni e ritrattazioni questo margine contabile dovrebbe permettere al governo di giocare sui decimali del deficit: previsto inizialmente all’1,8%, e concordato con Bruxelles, dovrebbe schizzare al 2,4% del Pil. La revisione dei decimali dovrebbe invece fermarlo al 2,1%.

Non è un dettaglio: il governo spera di liberare tra i 7 e gli 8 miliardi di euro che aveva previsto a maggio e che ora non ci sono più. Proprio a causa della crescita insoddisfacente. Quello che sembra essere certo è che non arriverà alcuna flessibilità. Proprio quella di cui il governo ha straparlato per mesi per poi, nelle ultime settimane, farla passare in secondo piano. I messaggi non equivocabili del principale alleato di Renzi a Bruxelles, Juncker, sono stati alla fine recepiti: la commissione è la guardiana del «patto di stabilità» e non di «flessibilità». Resterà, ancora per poco, misteriosa l’entità della cifra extra stabilità per coprire le spese post-terremoto e avviare il promesso progetto «Casa Italia» per la messa in sicurezza anti-sismica del territorio: quattro miliardi. Sempre da precisare l’importo contabile delle spese extra per l’accoglienza dei migranti: stando ai “si dice” 3,3 miliardi (0,2% di Pil). Il totale fa 7-8 miliardi, lo 0,4% di Pil.
Il tasto dolente resta il debito pubblico, ancora in crescita, e quello della pubblica amministrazione. Uno degli effetti della crescita indolente è l’aumento di quest’ultimo. Il rialzo del deficit avrà un impatto sull’indebitamento strutturale, l’Italia rischia l’apertura di una procedura di infrazione. Nel 2016 il deficit strutturale doveva essere dell’1,2% per calare all’1,1% nel 2017 e portare al pareggio nel 2019. Uno sforzo che la Commissione aveva già a maggio giudicato insufficiente. Oggi i valori sono evidentemente più alti.

La coperta è stretta per coprire le spese già messe in preventivo. Oltre allo sminamento delle clausole di salvaguardia provocato dall’aumento dell’Iva (15 miliardi), c’è il capitolo pensioni. Domani il governo incontrerà Cgil Cisl e Uil con il ministro del lavoro Poletti e il sottosegretario Nannicini. Sul tavolo ci sono i 2 miliardi per il “pacchetto pensioni”: per i sindacati sarebbero necessari 2,5 miliardi. Dal governo è giunta la conferma di un allargamento della platea per l’Ape social: dall’anticipo pensionistico dovrebbero essere esentati disoccupati di lunga durata senza ammortizzatori sociali e lavoratori con disabili in famiglia. Questi over 63 non dovranno ricorrere all’indebitamento con le banche per andare in pensione fino a 3 anni e sette mesi prima. Nemmeno questa formula convince la Cgil che fino ad oggi è stato l’unico sindacato a mostrarsi critico. Lo strumento è finanziario, non previdenziale. Oltre ai 600-700 milioni per l’Ape, previsti 6-800 per estendere la quattordicesima; 250 per la no tax area; 100 per le ricongiunzioni non onerose, e il resto per affrontare il problema dei lavoratori precoci. Cifre che hanno fatto arretrare Poletti e che spingono allo scetticismo Corso Italia.

Poi c’è il capitolo contratto degli statali. Oggi è in programma una riunione degli esecutivi unitari di categoria di Cgil, Cisl e Uil in attesa dell’apertura della trattativa con il governo. In questo caso si parla di risorse tra i 500 e i 700 milioni di euro che dovrebbero essere stanziate per il 2017. La ministra della Salute Lorenzin ha nel frattempo smentito l’aumento del ticket da 60 milioni circa prospettato nei giorni scorsi dalla Cgil. Lorenzin ha tuttavia precisato che «nei Lea ci saranno più di 800 milioni di nuove prestazioni sanitarie che sono pagate per intero dai cittadini. È evidente che un loro aumento comporta una compartecipazione, come avviene per tutte le altre prestazioni».