E mentre l’Italia si divide sulla Electrolux, sugli enormi sacrifici chiesti ai dipendenti per mantenere il loro posto nel gruppo degli elettrodomestici, cosa si viene a scoprire? Che i dividendi degli azionisti sono rimasti stabili, il valore della cedola che va in tasca alla proprietà – quello no, quello non è stato tagliato. Proprio da manuale sulla globalizzazione, i cliché ci sono tutti. Ma purtroppo sono del tutto reali.

I conti sono andati male, è vero: gli utili sono calati per il primo trimestre dal 2009, ma si è deciso comunque di mantenere invariati i dividendi. Ecco la trimestrale del colosso svedese: Electrolux ha chiuso il quarto trimestre 2013 con una perdita netta di 987 milioni di corone svedesi (111 milioni di euro), che, come detto, rappresenta il primo rosso trimestrale dall’inizio del 2009. Per l’intero esercizio 2013, l’utile netto è sceso a 672 milioni di corone svedesi (76 milioni di euro), in calo del 71,6% rispetto all’anno precedente. Non ha però toccato il dividendo, invariato: la cedola per gli azionisti è stata infatti mantenuta a 6,5 corone svedesi (circa 0,73 euro per azione), per un monte dividendi di circa 210 milioni di euro.

«Gli utili sono in calo a causa delle difficoltà nel mercato europeo e delle forti fluttuazioni valutarie», ha detto il presidente e amministratore delegato di Electrolux, Keith McLoughlin. Sulla vertenza che riguarda l’Italia, pur non sbilanciandosi, sostenendo che «al momento non è appropriato commentare il possibile esito di queste trattative», ha però affermato che «ci aspettiamo di chiudere il processo entro aprile».

Intanto, in qualche modo, il negoziato va avanti: stimolato dalla politica, con il governo che ha deciso di seguire le trattative. Lunedì mattina il ministro dello Sviluppo Flavio Zanonato, o un suo sottosegretario, riferiranno alla Camera. Da martedì partiranno le audizioni presso la Commissione Industria del Senato con tutti i protagonisti della storia: sindacati, azienda, e governatori di regione.

Sia dal centrodestra che dal centrosinistra si chiede al governo di insistere per ottenere un piano industriale chiaro, di innovazione e sviluppo. Lo fa Maurizio Sacconi, dell’Ncd, che insieme a Tiziano Treu è uno degli ispiratori del testo dell’Unindustria Pordenone, documento che chiede un cambio di passo e una nuova contrattazione di zona, con sacrifici anche per i salari dei lavoratori.
«Nel caso di Electrolux manca una dichiarata strategia di prodotto e di mercato e l’unico, esclusivo, elemento proposto è quello dei costi in relazione a prodotti poveri – nota Sacconi – È evidente che in questo contesto diventa difficile chiedere ai lavoratori di condividere le fatiche della transizione perché non si propone loro di condividere un punto di arrivo».

Dall’altro lato, il presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd), ritiene che il governo debba «pretendere da Electrolux un piano industriale che dia garanzie occupazionali a tutti gli stabilimenti italiani». «Si deve prevedere, come è stato fatto recentemente dalla Indesit – aggiunge Damiano – di portare in Italia prodotti con un valore aggiunto più elevato da sostituire a quelli di valore aggiunto inferiore che possono essere delocalizzati. Il governo deve accelerare le misure di riduzione del cuneo fiscale per rendere più convenienti gli investimenti delle imprese ed evitare che la richiesta di aumento della competitività gravi, in modo esclusivo ed unilaterale, sul solo salario dei lavoratori».

E se quindi i due uomini politici non escludono che si debba intervenire anche sui salari, un netto no viene per ora dalla Cgil: – «Pensare di tagliare i salari mi sembra una forma di suicidio per il Paese», ha detto Susanna Camusso. «E tutto questo – ha notato – in un momento di crisi in cui la ricchezza del paese è concentrata nel 10% della popolazione mentre il resto si è impoverito».
Sulla vicenda ha scritto il quotidiano Financial Times: affermando che «la disputa su Electrolux ha riacceso il dibattito sulla mancanza di competitività dell’Italia, dopo che il Paese ha perso circa un quarto della sua produzione industriale negli ultimi sei anni».