Ci fu una strada famosa a Londra, Grub street, che non era neanche una strada, piuttosto un canale di scolo, e in alto si libravano i garret, le soffitte, abitate da miserabili scribacchini, ignoranti, venduti, spregevoli, gli antenati del moderno giornalismo inglese. Una stampa di Hogarth «The distrest Poet» ci mostra l’interno di un garret con una bella finestra aperta sul cielo, e il poeta nei guai seduto al tavolo con un piede su «The Grub Street Journal», di cui forse è l’anonimo collaboratore.

Alexander Pope, l’autore più famoso e più pagato all’inizio del Settecento, attaccò senza mezzi termini quella disgraziata genia di Grub Street nel suo The Dunciad, una micidiale satira di tutta la stampa londinese, datata 1728. Di lì a un secolo, la crescita mostruosa dell’editoria per effetto di un pubblico sempre più vasto di lettori avrebbe costretto qualche romanziere tra i migliori a interrogarsi sul loro rapporto involontario con un esercito di scribacchini, quasi ignoti, ma necessari per rispondere alla richiesta di un mercato in espansione.

Londra, tema dei letterati
Gli ottimi guadagni avevano convinto Anthony Trollope, prolifico romanziere oltre che impiegato postale, del fatto che anche suo figlio avrebbe potuto guadagnarsi da vivere con lo stesso suo mestiere, facile per qualsiasi volenteroso. Henry James lo sospettò, e inventò la storia della patetica Greville Fane, fortunata autrice di numerosi romanzi di grandi passioni ambientate in grandi case aristocratiche, che aveva trovato un pubblico di gusti facili, e una facile fonte di guadagno. «Era intelligente e volgare e spocchiosa, e mai così intensamente britannica come quando era particolarmente straniera». Anche lei sperava che il figlio avrebbe continuato il suo stesso mestiere, così gratificante.

Se fin dalla nascita la stampa aveva avuto bisogno della città, Londra alla fine dell’Ottocento era diventata il tema stesso dei suoi letterati. E incorporava l’intero sistema della produzione editoriale: le case editrici (tante e in concorrenza) i giornali sempre attivi con l’artiglieria delle recensioni, i nuovi romanzi, e una platea di lettori più larga e più istruita dopo l’Education Act del 1870. Altre e numerose novità tecniche e legali cambiarono il mercato editoriale, i diritti e la figura dell’autore. La famosa sala di lettura del British Museum avrebbe fatto da libera università per molti giovani aspiranti scrittori, ma fuori di lì era sempre in agguato il pericolo per un giovane colto e sensibile di finire i propri giorni in un garret, la soffitta settecentesca tuttora in servizio. Quella Londra che Dickens aveva descritto trasmettendo pietà per i poveri e gli abbandonati, soffriva la crudele morsa che la rivoluzione industriale aveva imposto all’economia, – e all’economia delle emozioni.

L’umanesimo colto dei vittoriani aveva stentato ad ammettere il profondo cambiamento sociale di una Londra, amata e ignorata al tempo stesso. Negli ultimi anni di quella stagione, dal 1880 al 1903, George Gissing scrisse quattro dei suoi migliori romanzi – Demos, Thyrza, The Nether World e, finalmente il capolavoro New Grub Street, ottimamente tradotto da Chiara Vatteroni per Fazi (pp. 574, € 20,00). Il gusto del pubblico, ancora fermo alla casistica morale delle biblioteche circolanti, e l’insensibilità politica degli editori concedettero scarso credito alle descrizioni «veriste» che Gissing fece delle classi popolari, e non fu gradita la sua esacerbata critica alla potente macchina editoriale. Alla sua morte, nel 1903, la commemorazione del «Times» suonava ironica: « un uomo dagli alti ideali letterari che si curava poco o nulla di ciò che la media del pubblico pensasse … un artista abile e coscienzioso che tra qualche secolo sarà più letto di altri che deliberatamente scelsero di scrivere con più grazia e condiscendenza».

Straordinarie le lunghe conversazioni tra uomini e donne, coniugi o fidanzati o amici, stretti in salottini tra mobili Biedermeier o resti di apparati preraffaelliti; le donne aggressive nella loro appena conquistata autorità, gli uomini deboli o insinuanti o minacciosi. Il nuovo incalza e la scena deve esser lasciata libera. Il protagonista Reardon è lo stesso Gissing, ma il modello si estende anche al fratello Algernon, e gli amici che sebbene talentuosi vivevano ai margini del nuovo sistema editoriale, destreggiandosi ingenuamente sulla nuova scena sociale. Il loro avversario è Jasper Milvain, venticinque anni, di bell’aspetto, scarso talento e tanta voglia di sfondare. «Ma provate solo a capire la differenza tra un uomo come Reardon e uno come me. Lui è il tipo di artista all’antica, privo di senso pratico; io sono un letterato del 1882 … Reardon vende un manoscritto come se vivesse ai tempi della Grub Street di Samuel Johnson. Ma la Grub Street di oggi è un luogo ben diverso: utilizza il telegrafo, conosce i gusti letterari di ogni angolo del mondo e la frequentano uomini d’affari …».

Il piacere innanzi tutto
Sarà presto messa fuori gioco la generazione postdickensiana: Reardon e l’amico Biffen, la loro cultura classica, il viaggio a Roma e Atene tante volte sognato, l’impegno morale e sociale verso il popolo, la loro scrittura «verista», la devozione romantica al proprio compito e al proprio stile. «Mr Biffen sembra non capire che un’opera d’arte deve, prima di qualsiasi altra cosa, dare piacere», è il rimprovero che, fra le pagine, gli fa un critico.

Ma anche la circospezione del furbo Milvain sarà messa a dura prova, quando irromperà sulla scena il giovanissimo Whelpdale, entusiasta ideatore di un nuovo tipo di giornalismo che intende andare incontro ai lettori più giovani, disposti – in treno o in tram – a dare appena un’occhiata al giornale: «vogliono informazioni frivole e leggere, come un chiacchiericcio, un po’ di racconti, un po’ di descrizioni, qualche scandalo, qualche battuta, qualche dato statistico…la loro concentrazione non tollera nulla che sia più lungo di cinque centimetri».

Nel 1901 Gissing fece un viaggio nella poverissima Calabria, il cui resoconto è stato più volte tradotto in italiano (Sulla rive dello Jonio) perché preziosa e generosa testimonianza delle antiche sofferenze di quelle terre: «Razze brutali si sono lanciate, una dopo l’altra, su questo dolce e glorioso paese – scrive. Una pena immemoriale risuona nelle note leggere dell’allegria italiana. È un paese fiaccato e pieno di rimpianti, rivolto al passato e incapace di sperare in un futuro».