Ieri mattina la Corte suprema indiana ha stabilito che il fuciliere di Marina Salvatore Girone potrà rientrare «immediatamente» in Italia e rimanerci fino al termine dell’arbitrato internazionale attualmente in dibattimento all’Aja. La sentenza, che dà ragione alla richiesta italiana formulata su «basi umanitarie», applica le direttive arrivate dalla Corte arbitrale permanente dell’Aja lo scorso 3 maggio, quando si decideva che Girone avrebbe fatto rientro in patria, ma a condizioni che avrebbe dovuto formulare la massima Corte indiana.

Le condizioni, si legge nella sentenza pubblicata sul sito della Supreme Court of India, sono sette: Girone e l’ambasciatore italiano a New Delhi dovranno firmare e consegnare alla Corte due lettere d’impegno – undertaking – in cui si prende atto, ufficialmente, che il fuciliere potrà risiedere in Italia fino al termine dell’arbitrato ma sempre sotto l’autorità giuridica indiana; Girone dovrà consegnare il passaporto alle autorità italiane e non potrà lasciare il paese salvo permesso della Corte suprema indiana; dovrà fare rapporto ogni primo mercoledì del mese presso una stazione di polizia – da definire – e tale rapporto dovrà essere inviato all’Ambasciata indiana in Italia; l’Ambasciata italiana in India dovrà aggiornare il governo indiano circa le condizioni di Girone ogni tre mesi, a partire dal primo settembre; infine, Girone non potrà avere alcun contatto con alcun testimone coinvolto nel caso Enrica Lexie e non dovrà in alcun modo inquinarne le prove.

Quest’ultima condizione si presterebbe a interpretazioni delicate, considerando l’entusiasmo mostrato dal governo italiano non appena la notizia del rientro veniva battuta dalle agenzie. In un tweet il primo ministro Matteo Renzi ha dato il «bentornato» al fuciliere «che sarà con noi il #2giugno». Un’eventuale presenza pubblica del marò assieme a Massimiliano Latorre, accusato come Girone dell’omicidio dei due pescatori indiani Ajesh Binki e Valentine Jelastine, rischierebbe di infrangere i patti stipulati coi giudici indiani, se nella categoria dei «testimoni» fosse conteggiato anche il coimputato Latorre. Nella medesima sentenza si legge che il mancato rispetto delle condizioni equivarrebbe al ritiro immediato della «licenza speciale», comportando il rientro di Girone in India.

L’alleggerimento delle condizioni di libertà vigilata di Girone è senza dubbio un successo della diplomazia italiana, che da anni si era data come obiettivo primario il rientro in patria dei due fucilieri. A Latorre, a Taranto ormai da ben più di un anno per motivi di salute, nel giro di pochi giorni si aggiungerà anche lo stesso Girone, fermo in India da oltre quattro anni, escludendo due licenze speciali per le vacanze natalizie del 2012 e le elezioni italiane del 2013. Un risultato ottenuto grazie al cambio di strategia voluto dal governo Renzi, che ha insistito per il tanto annunciato – e mai fatto, nei due governi precedenti – ricorso all’arbitrato internazionale dell’Aja. Una mossa che, come ha lasciato intendere il ministro degli interni Angelino Alfano, avrebbe forse portato a questo esito positivo per Roma in tempi decisamente più brevi.

Quando Girone toccherà nuovamente suolo italiano, sarebbe lecito ritenere concluso il braccio di ferro politico e diplomatico tra Roma e New Delhi, che negli anni ha portato ai minimi storici le relazioni bilaterali. Con entrambi i fucilieri in Italia, nella sostanziale indifferenza dell’opinione pubblica indiana – che ha ben altro di cui preoccuparsi e che per la questione ha dimostrato un sincero disinteresse da almeno tre anni – Italia e India potranno tornare a intrattenere rapporti meno schizofrenici, liberi dalla spada di Damocle delle rispettive opinioni pubbliche periodicamente titillate da opposizioni pronte a snaturare un caso ormai di carattere puramente tecnico-giuridico.

Ma se in India il rischio di speculazioni sul rientro di Girone è virtualmente inesistente – la politica ha di fatto preso atto della sentenza – in Italia, in stato di campagna elettorale permanente, la minaccia di strumentalizzazioni purtroppo interessa tanto la maggioranza di governoquanto l’opposizione della destra ipernazionalista già al governo nel 2012, anno del caso «due marò».