Ieri l’Ansa ha anticipato il contenuto della prima «sentenza» della Corte arbitrale permanente dell’Aja, dove India e Italia hanno presentato le rispettive posizioni circa la giurisdizione esclusiva del caso Enrica Lexie: Salvatore Girone, ha riportato l’agenzia di stampa, potrà rientrare in Italia e attendere a casa la sentenza definitiva che determinerà dove – se in India o in Italia – si terrà il processo che lo vede imputato, assieme al fuciliere Massimiliano Latorre, dell’omicidio di Ajesh Binki e Valentine Jelastine, due pescatori indiani colpiti da colpi di arma da fuoco al largo delle coste del Kerala nel febbraio del 2012.

La notizia del rientro di Girone, dato per certo dall’Ansa, è stata confermata anche dalla Farnesina, che in un comunicato ha aggiunto che la decisione del Tribunale dell’Aja «recepisce le considerazioni legali e di ordine umanitario derivanti dalla permanenza di Girone in India da oltre quattro anni», dichiarando che il governo italiano «avvierà immediatamente le consultazioni con l’India affinché siano in breve tempo definite e concordate le condizioni di dare seguito alla decisione del Tribunale arbitrale».

Siamo quindi di fronte a un presunto «ordine» proveniente dall’Aja che intimerebbe all’India il rientro del fuciliere Girone in Italia fino al pronunciamento della sentenza arbitrale – previsto tra non prima di due anni – , di fatto assecondando le richieste della diplomazia di Roma.

Una lettura che, arrivata in India, ha indispettito i funzionari del ministero degli esteri di New Delhi (Mea), spingendo le autorità indiane a diramare comunicati chiarificatori che correggessero il «taglio» della notizia.
Fonti degli esteri indiani hanno denunciato ai media nazionali il «travisamento della decisione» da parte dell’Italia, che secondo l’India avrebbe erroneamente interpretato la decisione dell’Aja come un «ordine di rilascio di Salvatore Girone» indirizzato alle autorità indiane.

Secondo la versione dei funzionari del Mea, la decisione del Tribunale dell’Aja riaffermerebbe l’autorità della Corte suprema indiana sul caso e riconoscerebbe chiaramente che «Girone è sotto l’autorità esclusiva dell’India». Con queste premesse, i giudici dell’Aja avrebbero chiesto all’Italia di tornare di fronte alla Corte suprema indiana e chiedere un ulteriore «rilassamento» delle condizioni di libertà su cauzione.

Nonostante il ritorno di Girone non sia mai stato così vicino, l’annuncio dei media italiani e le reazioni entusiastiche della politica – col premier Matteo Renzi immortalato alla finestra al telefono con Salvatore Girone, secondo un tweet del portavoce di palazzo Chigi Filippo Sensi – che lasciavano intendere il rientro del fuciliere come «cosa fatta» hanno prestato il fianco a precisazioni indispettite di carattere tecnico da parte della diplomazia indiana, per nulla disposta ad assecondare una ricostruzione legale che delinei una «sconfitta» di New Delhi in sede legale internazionale.

Se prendiamo per buona l’interpretazione italiana, l’India si troverebbe obbligata a dare seguito a una disposizione vincolante del Tribunale dell’Aja, vedendo scavalcata la propria autorità nazionale nell’ambito del caso Enrica Lexie e quindi – in virtù dell’impegno preso al momento dell’accettazione del ricorso arbitrale italiano – costretta a rimettersi al «volere della corte» e a ufficializzare il rientro di Girone in accordo con l’Italia attraverso un passaggio prettamente burocratico. Secondo la lettura indiana, invece, i giudici dell’Aja avrebbero invitato le due parti a trovare un accordo di fronte alla Corte suprema indiana (dando quindi l’ultima parola ai giudici indiani) che dovrà fissare le condizioni entro le quali al fuciliere venga permesso di tornare in Italia. Con ogni probabilità, si tratterà di rassicurazioni e impegni scritti che obblighino l’Italia a far rientrare in India Girone qualora la sentenza arbitrale desse a New Delhi la giurisdizione esclusiva del caso.

Questi distinguo, apparentemente disquisizioni di lana caprina che a questo punto non intralcerebbero il ritorno di Girone in Italia, assumono importanza rilevante all’interno del dibattimento in corso all’Aja: l’interpretazione italiana delineerebbe uno scavalcamento del sistema legale indiano da parte di quello internazionale, segnando un «punto a favore» per Roma nell’ottica della giurisdizione esclusiva italiana sul caso; al contrario, l’interpretazione indiana – che riafferma «l’autorità esclusiva indiana sul caso» – sosterrebbe parzialmente la posizione indiana, che rivendica il diritto di istruire il processo Enrica Lexie all’interno dei propri confini.

La lettura della decisione dell’Aja, che sarà resa pubblica nella giornata di oggi, dovrebbe contribuire a chiarire le differenze di interpretazione tra India e Italia.