Sergio Luzzatto nel suo ultimo libro Max Fox o le relazioni pericolose (Einaudi, pp. 320, euro 20) si occupa delle ruberie e delle falsificazioni messe in opera da Marino Massimo De Caro, il devastatore della biblioteca dei Girolamini di Napoli. L’autore è preso da grande simpatia per il ladro, e si direbbe che riesca a farlo passare come un’incarnazione del «genio italico».
Il libro racconta i massicci furti e le falsificazioni di importanti libri da parte di De Caro, e le sue attività «politiche», essenzialmente come brasseur d’affaires per conto del suo protettore, Dell’Utri, che fa nominare De Caro consigliere del Ministro dei beni culturali e poi direttore dei Girolamini. De Caro gli regala alcuni dei preziosi volumi rubati. I due sono sotto processo per associazione a delinquere. Nonostante le sue allusioni letterarie, Luzzatto rivendica questo libro come lavoro di uno storico: ha ripetutamente detto di avere in memoria 3072 documenti. I documenti usati nel volume, però, sembrano filtrati da De Caro.

SI PUÒ TAGLIARE corto il racconto di un De Caro «studioso» e «bibliofilo», che rubava i libri per «possederli». Semplicemente, lui se ne appropriava per venderli, come ad esempio la copia del Dialogo de Cecco di Ronchitti (1605), rarissimo primo libro di Galileo: Luzzatto ci dice che De Caro da sempre lo «sognava», ma lungi dal rubarlo per possederlo, lo vende al libraio che l’aveva presentato a Dell’Utri, Rotundo: compare in un suo catalogo del 2011, dove se ne chiedono seicentomila dollari. Invenduto, viene mesi dopo offerto da Rotundo e dal suo socio, il libraio torinese Pregliasco.
Scoperto il furto, il volume viene restituito, fornendo sufficienti pezze d’appoggio per evitare l’accusa di ricettazione. Rotundo dichiara, in effetti, di aver troncato i rapporti con De Caro nel 2006. Il suo socio Pregliasco risulta però avere rapporti con quest’ultimo nell’aprile 2012, l’acme delle ruberie ai Girolamini.
De Caro non esita a rovinare i libri per cancellare tracce della loro provenienza, e sistematicamente distrugge la memoria di quelli rubati, facendo scomparire dai Girolamini cataloghi storici, asportando dai libri note di appartenenza, distruggendo antiche etichette. Non c’è male, per un «amante dei libri» e per uno «studioso». Quanto ai suoi studi, c’è poco da dire: studente fallito, per riempire il suo curriculum s’era fatto dare un titolo di Profesor Honorario da una università privata argentina. Non sorprende quindi che sia felicissimo dell’accostamento che Luzzatto continuamente fa tra lui e Guglielmo Libri, devastatore di biblioteche, ma vero studioso: un matematico i cui lavori avevano attirato l’attenzione di Gauss e Cauchy. E professore al Collège de France, non all’Universidad Abierta Interamericana di Buenos Aires.

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SUI FALSI di De Caro il libro è particolarmente fuorviante. Eliminiamo l’equivoco che li facesse per burlare gli accademici, di cui dice di sentirsi «superiore»: anche i falsi li fa ovviamente per arricchirsi – all’inizio, per sostituirli sugli scaffali agli originali rubati. I falsi sono grossolani, e vengono senza difficoltà riconosciuti come tali. Ma l’appetito vien mangiando.
L’episodio più famoso è la falsificazione di una copia del Sidereus Nuncius di Galileo, uno dei libri scientifici più importanti nella storia dell’umanità, in cui Galileo mostra le scoperte da lui fatte con l’osservazione notturna della Luna e di Giove e dei suoi satelliti, scardinando la concezione tolemaico-aristotelica del cosmo. Il libro fu illustrato da Galileo con schizzi delle fasi lunari che aveva osservato – schizzi riprodotti all’acquaforte nel Sidereus Nuncius. In un piccolo numero di esemplari, però, gli spazi destinati alle acqueforti rimasero vuoti.
Nel 2005 De Caro si presenta alla libreria antiquaria Martayan & Lan di New York insieme a Rotundo, con una copia del Sidereus Nuncius che non ha le acqueforti, ma ai loro posti invece gli originali degli acquarelli che Galileo stesso avrebbe disegnato al momento delle sue osservazioni notturne. A ulteriormente impreziosire l’esemplare, il frontespizio reca una scritta a mano: «Io Galileo Galilei f(eci)», e un timbro della biblioteca del principe Cesi, protettore di Galileo e fondatore dei Lincei.
Il libraio acquista il volume per mezzo milione di dollari – e intende rivenderlo per dieci milioni. Non lo spaventa la reputazione di falsario del venditore, e si accontenta di tenere il più possibile nascosta la provenienza dell’esemplare da De Caro. Non ha mai neanche sporto denuncia contro chi glielo aveva venduto, tanto che De Caro e Rotundo – che ha negato di aver partecipato all’affare – non sono stati mai neppure inquisiti.

UNO STORICO DELL’ARTE di Berlino, H. Bredekamp, convinto dell’autenticità di quello che ora viene chiamato Snml (Sidereus Nuncius Martayan Lan), pubblica un saggio su questo strepitoso esemplare. Owen Gingerich di Harvard, però, mostra in un dotto articolo che gli acquarelli sono un falso, e contengono errori che Galileo non avrebbe potuto commettere. Gli risponde William Shea, titolare della Cattedra galileiana, ribadendo che il Snml è autentico. Gingerich lascia perdere.
Bredekamp intanto mette insieme un’équipe che produce (2011) due volumi di studi sul Snml, ne conferma l’autenticità, e ne trae conclusioni mirabolanti per la storia della scienza, la storia dell’arte, ecc. Ma proprio questi due volumi causano la rovina del Snml; nel libro di Luzzatto è narrata in modo lacunoso e fa apparire De Caro in una luce affascinante, piuttosto che come lo mostra la vera storia: un falsario di second’ordine.

I FATTI ESSENZIALI (che Luzzatto non riporta) sono questi. Nick Wilding, studioso di Galileo, dovendo scrivere una recensione dei due volumi, arriva a provare che il Snml è un falso. Nel dicembre 2012 una prestigiosa rivista di storia della scienza pubblica una sua lettera in cui spiega che le caratteristiche della stampa mostravano che esso era senza possibilità di dubbio una riproduzione fotomeccanica di un facsimile del Sidereus Nuncius (Luzzatto crede invece alla storia che gli racconta De Caro, che si sarebbe procurato un esemplare dell’originale per riprodurlo).
Wilding aggiungeva altri elementi, tra cui uno minore, ma clamoroso: coloro che avevano lavorato con Bredekamp avevano dedicato un intero capitolo – firmato dalla ex-bibliotecaria dei Lincei – alla provenienza del libro dalla biblioteca Cesi, ma non si erano accorti che il timbro del Snml era diverso da quello recato da tutti i volumi certamente appartenuti a Cesi (molti conservati ai Lincei), ed era falso.

LA STORIA RAGGIUNGE le pagine del New Yorker e del New York Times. Bredekamp, costretto a rimangiarsi tutto, pubblica un terzo volume di studi sul Snml, intitolato Un falso Galileo, in cui si accetta senza riserve che quell’esemplare è un falso, e si rivela che la sua équipe aveva mancato di fare test essenziali per controllare l’autenticità del libro – ad esempio, non era stata fatta un’analisi della carta, che – vedono solo ora – contiene elementi che la fanno datare a non prima della fine dell’Ottocento (anche ciò non viene detto da Luzzatto). Se le indagini di Bredekamp fossero state fatte seriamente avrebbero portato ad accertare subito la falsità di quel libro.
Che la burla abbia voluto farla Bredekamp, coi suoi primi due volumi? Suona certo una presa in giro la sua affermazione che il falso fosse arrivato a un livello di «perfezione» forse mai raggiunto prima. Luzzatto gli fa eco, parla di «falso perfetto». Giudizi di segno opposto dovevano mancare nei 3072 documenti di Luzzatto, perché dal libro sono cospicuamente assenti. Il più netto quello di Wilding (Proceedings of the American Philosophical Society, 2016): «Snml è pieno di errori, è una falsificazione decente ma non è un capolavoro», aggiungendo: «questi libri sono il prodotto del crimine organizzato». («facsimili di second’ordine», li qualifica l’autorevole Book Collector). Non resta nulla da aggiungere.