Nella bolla gaudente – finché dura – della «serial mania», la comparsa di Netflix ha generato una sequenza infinita di storie, documentari, film e progetti vari, spesso basati su autobiografie. L’ultima in ordine di tempo – la data di lancio prevista della prima stagione composta da tredici episodi è per il 21 aprile – è Girlboss e si ispira alla vicenda di Sophia Amoruso – anche co-produttrice insieme a Charlize Theron che ha creduto sin da subito nella bontà del plot.

Sophia come molti «millenials», della sua generazione, ha tentato la fortuna attraverso un’attività online fondando la Nasty Gal – un negozio di abbigliamento che si è affermato in rete nel 2012. Il Time l’ha definita: «una delle aziende al mondo con più veloce crescita». Sophia (Brit Robertson) in questa fiction che ha i sapori a tratti di una briosa sit com anche nel formato da 20 minuti, ha una passione snaturata per gli abiti vintage che trova in luoghi impensati per poi rivenderli su eBay. Da lì all’idea di inventarsi un’azienda il passo è stato breve. E anche se oggi Amoruso non è più AD della Nasty Gal, la sua storia – ritenuta emblematica dai creativi di Netflix – suona come un inno all’imprenditoria e al successo decisamente «tutto al femminile».