La capacità di seguire i movimenti del sole durante il giorno, un comportamento definito eliotropismo, ha fatto del girasole una pianta dal forte significato simbolico. L’Helianthus Annuus, dal greco helios (sole) e anthos (fiore), è diventato il simbolo dell’estate e fonte di ispirazione nella pittura. La torsione del peduncolo, che consente alle piante di ruotare in modo che la corona sia rivolta verso il sole, si manifesta durante la fase giovanile. Quando la pianta ha raggiunto lo stadio adulto e i semi arrivati a maturazione, la corona non ha più bisogno di seguire il sole e rimane orientata verso est.

Il girasole, originario dell’America centro-meridionale, è stato introdotto in Europa alla fine del 1500 e per lungo tempo è stato coltivato come pianta ornamentale. Solo a partire dal 1700 i suoi semi vengono utilizzati per la produzione di olio, diventando una delle più importanti piante oleaginose. A livello mondiale è la pianta più coltivata, dopo la soia, per la produzione di olio. Il girasole coltivato presenta una singola infiorescenza, mentre allo stato selvatico si trova prevalentemente in forma ramificata. Il fusto può superare i due metri di altezza e la corona gialla, che misura dai 10 ai 40 cm di diametro, non è costituita da un singolo fiore, ma è una infiorescenza in cui sono presenti dai 500 ai 3 mila piccoli fiori che possono arrivare a 8 mila nelle varietà ornamentali. I fiori subiscono un processo di maturazione trasformandosi in semi.

UN CAMPO DI GIRASOLI NON PASSA mai inosservato ed è sempre più frequente imbattersi anche in Italia in questo tipo di coltivazione. Sono le aree di pianura e di collina delle regioni centrali a registrare la presenza maggiore, in particolare Marche, Umbria e Toscana. Le zone del maceratese e dell’anconitano, il senese, l’aretino e la Maremma in queste settimane mettono in mostra le loro distese di girasoli. Ma quest’anno il girasole ha fatto la sua comparsa anche alle porte di Milano. A Vimercate, in Brianza, l’azienda agricola Frigerio ha destinato 13 ettari a questa coltura, cambiando il paesaggio di un’area agricola in cui sono mais, grano e soia le colture tradizionali. L’esperimento ha suscitato interesse negli agricoltori della zona e curiosità tra gli abitanti dell’area milanese, che accorrono nei fine settimana a godersi un paesaggio inconsueto. In questi anni sono stati numerosi gli esperimenti attuati nella coltivazione del girasole, sia con varietà tradizionali che con ibridi. Le particolari condizioni climatiche e di terreno che la pianta richiede hanno prodotto, spesso, risultati inferiori alle attese, scoraggiando gli agricoltori.

IL GIRASOLE È UNA PIANTA ERBACEA a ciclo annuale e la riforma europea che ha interessato le colture oleaginose la colloca tra le piante da rinnovo, in grado di entrare con successo in rotazione con mais e grano. Una pianta che si avvantaggia delle lavorazioni profonde e delle concimazioni organiche e che lascia il terreno in buone condizioni di fertilità per il frumento. Sono una trentina le varietà coltivate e i loro semi contengono circa il 30% di materia grassa. L’epoca di semina va da fine marzo a metà aprile, quando le temperature sono sufficientemente elevate e si riduce il rischio delle gelate. Il periodo di raccolta in Italia va da metà agosto (nelle zone più calde) a metà settembre e vengono impiegate le mietitrebbie da frumento opportunamente adattate. Le rese dipendono dalle varietà impiegate, ma sono fortemente influenzate dalle condizioni climatiche e dalle fitopatologie che si possono sviluppare. La pianta ha bisogno di estati lunghe e calde, ma non torride, in quanto molto sensibile alla siccità prolungata e alle ondate di calore, condizioni che in questi ultimi anni, a causa dei cambiamenti climatici, si sono ripetute con frequenza, incidendo sulla quantità e qualità del prodotto.

IL FABBISOGNO IDRICO DELLA PIANTA è elevato e nelle aree più aride può essere coltivata solamente se si dispone di sistemi di irrigazione. Sono circa 100 mila gli ettari coltivati in Italia con una produzione di circa 250 mila tonnellate annue, insufficienti a soddisfare il fabbisogno interno. Il nostro paese importa il 70% dell’olio di girasole. Sono Ucraina e Russia i paesi dei girasoli. Insieme forniscono più del 50% della produzione mondiale di semi e olio di girasole. Nelle loro fertili pianure si riscontrano le condizioni ottimali, sia per clima che per tipo di suolo, per la coltivazione di questa oleaginosa. Le rese sono elevate e i due paesi si contendono ogni anno, senza esclusione di colpi, il primato nella produzione. La politica economica dei due paesi assegna al girasole un ruolo strategico. Altri produttori di un certo peso sono Argentina, Cina, Romania, Ungheria, Bulgaria. Tra i paesi dell’area mediterranea sono Spagna e Francia ad avere discrete produzioni. Attualmente il 9% di tutti gli oli prodotti a livello mondiale deriva dal girasole. Se pensiamo che il prezioso olio di oliva rappresenta solo l’1% degli oli di origine vegetale, si comprende quale partita si gioca intorno all’olio di girasole. Ma il mercato degli oli vegetali è in rapida evoluzione e la quota di mercato dell’olio di girasole è destinato a crescere rapidamente per l’aumento della domanda da parte delle industrie alimentari. L’olio di palma, che per anni l’ha fatta da padrone sulle nostre tavole per il massiccio impiego nell’industria alimentare, ha subito una considerevole diminuzione grazie alle campagne di informazione sui rischi per la salute. La messa in stato d’accusa dell’olio di palma ha costretto molte industrie alimentari a preferire l’olio di girasole, che contiene una percentuale ridotta di grassi saturi, per la preparazione di prodotti di pasticceria, sughi, salse, sottoli.

QUESTO NUOVO SCENARIO HA SPIAZZATO tutti coloro che assegnavano all’olio di girasole un prevalente ruolo energetico, come biocarburante per autotrazione o combustibile negli impianti per produrre energia elettrica. Per il girasole vale il discorso fatto per le altre coltivazioni per uso energetico: l’insostenibilità ambientale delle produzioni energetiche di prima generazione (quando si coltiva una pianta solo per produrre energia) in quanto entrano in concorrenza con le produzioni per uso alimentare. Ci può essere spazio solo per le filiere energetiche di seconda generazione che utilizzano i componenti residui delle produzioni alimentari. Nella coltivazione delle oleaginose assume una particolare importanza la composizione chimica degli oli che si ottengono, in particolare il rapporto tra grassi saturi e insaturi, la concentrazione di acido oleico e linoleico, il comportamento di ciascun olio alle alte temperature.

PER QUANTO RIGUARDA IL GIRASOLE, negli ultimi anni la coltivazione è sempre più orientata verso varietà ad alto contenuto di acido oleico, un grasso monoinsaturo che conferisce stabilità all’olio e maggiore resistenza alle alte temperature. Il girasole può avere un futuro biologico. Da qualche anno sono stati avviati accordi tra aziende alimentari e agricoltori per lo sviluppo di coltivazioni biologiche di questa straordinaria pianta. Sono piani di coltivazione che hanno lo scopo di creare filiere efficienti e sostenibili in campo alimentare. La seconda giovinezza del girasole passa attraverso l’impiego di varietà che si adattano alle condizioni climatiche delle diverse aree e l’estensione delle coltivazioni biologiche.