Ogni volta che ci si confronta con la pur discutibile operazione di tracciare la storia del romanzo grafico in Italia, il nome di Gipi spunta tra i primi e gli imprescindibili (del quale, per ragioni di spazio, citeremo qua solo le opere culto). Pisano, classe 1963, Gian Alfonso Pacinotti pubblica negli anni ’90 vignette satiriche su Cuore e poi sulla rivista erotica Blue, ed è al genio di Igort, fondatore di Coconino Press (altro nome imprescindibile nel nostro percorso) che si deve il suo libro d’esordio Esterno notte (Coconino Press, 2003) con il quale riceve l’ambito Premio Micheluzzi. È un libro di racconti dove l’autore fa sfoggio di una ricerca pittorica accurata con un olio blu graffiato che svela una profondità narrativa sorprendente, oltre a proporre una nuova via nel fare fumetto. Nel 2006 arriva il momento del riconoscimento internazionale con Appunti per una storia di guerra: Gipi riceve il premio per miglior fumetto ad Angoulème, terzo italiano ad ottenerlo dopo Hugo Pratt e Vittorio Giardino. La guerra del titolo c’è-ed è la prima di quelle che appariranno, ricordate o vissute, reali o intime, nella sua opera- ma qua è un pretesto, una metafora. La narrazione parte da spunti che riconosceremo più tardi come autobiografici: l’ambientazione della provincia italiana e le sue proverbiali miserie viste attraverso le vicende di tre adolescenti. Distante dalla ricerca virtuosa del precedente libro, Gipi disegna a penna, con un tratto scarno e nervoso che svela le psicologie dei personaggi, accompagnato da un semplice e oppressivo acquerello grigio. Un’essenzialità che mette al centro il ritmo e il montaggio, un carattere cinematografico pronto a esplodere nella successiva produzione dell’artista. In ogni storia di Gipi il vissuto, il proprio o quello altrui, è ispirazione e oggetto; in S. (2006) il libro dedicato alla memoria del padre Sergio, il vissuto è un vortice di ricordi del genitore scomparso, spesso narrati da più angolazioni, con uno sguardo onnicomprensivo che, mai retorico, riesce a non tradire la voce del padre. Succede di nuovo con il suo libro consacrazione LMVDM (acronimo per La mia vita disegnata male) del 2008, anno della svolta: la fine di un percorso esistenziale e artistico che come tutte le conclusioni, segna una rinascita. Più che disegnata male, la propria vita è presa e sminuzzata in episodi legati all’adolescenza, raccontati nel momento in cui la giovinezza trabocca nella maturità, come in un esercizio di scrittura automatica: con il pretesto della malattia-coscienza di una morte dalla quale l’autore è esemplarmente sedotto e terrorizzato-durante le sedute da vari psicanalisti immancabilmente tacciati di cretineria, l’autore confessa la sua condotta giovanile trasgressiva e volutamente imbarazzante, un tentativo per distaccarsi dalla buona educazione che contagia anche il segno, stavolta impreciso, abbozzato e intenzionalmente meno bello del precedente. Una bruttura dove però c’è spazio per l’amore (che «c’era dappertutto» come dice in chiusura del testo), nella storia intercalata dei pirati che con gli usuali formidabili acquerelli, sta nel libro come un sogno d’artista in mezzo alle proprie digressioni: «L’amore di cui ha bisogno una persona, è l’amore che ricevi quando sei sbagliato, storto, inefficace», dichiarava in un’intervista nel 2014.
Dopo una pausa di 5 anni, nella quale Gipi gestisce-non sempre con facilità- il suo enorme successo, torna con unastoria (2013): condensazione del ritorno in sé, al sé maturo dopo un allontanamento dalla traiettoria artistica di fumettista, dall’ispirazione. Di nuovo un protagonista instabile, psichiatrico, uno scrittore 50enne in crisi, intreccia la sua storia con una vicenda tramandata dalle lettere che il soldato Mauro, combattente durante la prima guerra mondiale, invia alla moglie. Due piani di narrazione e di illustrazione: i paesaggi acquerellati esplodono, parlano senza bisogno di testo, a dispetto dell’importanza grafica del segno della scrittura nei vaneggiamenti di Landi: «Un libro serissimo» a detta dell’autore, «nemmeno una battuta, non uno strascico di quello stile furbino come in LMVDM». Uno sfoggio di potenza narrativa che lo scaraventa tra i finalisti del Premio Strega e che anticipa in modo compiuto l’ultima meraviglia a fumetti, del 2016, La terra dei figli, un romanzo in cui l’apocalisse fa sì che nessun libro venga più scritto, dove la distopia è già insediata: con l’unico ausilio grafico di una sola penna, più eloquente che mai, Gipi dice che il miracolo della scrittura e del segno è l’unica maniera per rimanere vivi.