Siamo a metà giugno, è il giorno dell’inaugurazione della mostra di Gipi a Palazzo Blu e Pisa è schiacciata da una canicola irrimediabile. Entrando nelle sale affrescate dell’edifico che si affaccia sul lungarno, l’atmosfera è decisamente più accogliente: l’autore è attorniato da una piccola folla di giornalisti, accudito dal solerte curatore, il prof. Giorgio Bacci, e dal presidente della fondazione Palazzo Blu, Cosimo Bracci Torsi, che si congratula con il fumettista e ricorda affettuosamente suo padre Sergio, noto ottico pisano, conosciuto dai lettori per le tavole di S. (Coconino, 2006) come a cercare una connessione antica ma tangibile nel loro vissuto, a dimostrare affetto innato per l’artista che ha davanti. Non è passato neanche un mese, ma è impossibile dimenticare la spontaneità con cui Gipi si racconta in quest’occasione. È qualcosa che ha a che fare con il suo concetto di onestà, che permea e regola il suo lavoro, un marchio d’autore che la curatela della mostra ha deciso sapientemente di sottolineare. Spero che Gipi possa accettare il mio invito a venire a Livorno, per la presentazione del catalogo, o per proiettare il suo ultimo film, ma in realtà ha già declinato l’invito con una mail sincera nella quale spiega che sta disegnando il nuovo libro, e a vederlo adesso, di buon umore e pienamente soddisfatto della mostra, conoscendo la severità e l’intransigenza con la quale guarda al suo lavoro, questo diventa per me un rifiuto del tutto sensato…non può (non deve!) interrompere il lavoro. Ci si aspetta un ritorno al fumetto in grande, dopo La terra dei figli uscito nel 2016, il suo ultimo romanzo, che aveva già segnato una rottura evidente con i precedenti: il racconto ambientato in un futuro post apocalittico svuotato dalla cultura, intesa come capacità di memoria legata alla parola e alla comunicazione, è qui disegnato interamente in bianco e nero con un pennarello sottilissimo. Il meno autobiografico dei lavori di Gipi, che a ben vedere tratta temi a lui molto cari, quali l’identità e la possibilità del racconto in un futuro minacciato dalla povertà intellettuale che ha minato anche il linguaggio, porta in sé una critica lucida contro la deriva purtroppo tangibile verso a quale il nostro pensiero e la nostra convivenza sembrano sempre più spesso dirigersi: il romanzo diventerà un film con la regia di Claudio Cupellini per Indigo Films. Una nuova esperienza di racconto, quindi, che porterà a vedere al cinema una storia di Gipi mediata da altri autori, dopo un inverno passato tra le proiezioni in tutto il paese del suo secondo lungometraggio, Il ragazzo più felice del mondo e gli abrasivi cortometraggi satirici firmati con Gero Arnone, in onda il venerdì su Propaganda Live. Proposte che hanno entusiasmato gli ammiratori dell’autore toscano, distraendoli dal desiderio di leggere e ammirare le tavole di un altro suo fumetto, al quale, appunto, pare che l’autore toscano stia finalmente lavorando. Nel frattempo, fino al 12 ottobre, la mostra a Palazzo Blu Storie d’artista, traccia un percorso essenziale ma profondamente coerente per capire il tragitto discontinuo e sempre mutevole, in quanto a stili grafici e approcci narrativi, cifra che distingue l’opera dell’autore. Un’occasione imperdibile per farsi incantare dalle tavole originali e tuffarsi dentro la sensibilità e la creatività dirompente del fumettista pisano.

GIPI Storie d’artista

Qualche giorno dopo l’inaugurazione, abbiamo l’occasione di dialogare con il curatore della mostra, il Prof. di Storia dell’arte contemporanea Giorgio Bacci, già curatore della mostra dedicata a Lorenzo Mattotti nel 2018 a Palazzo Blu.

Prof. Bacci, il testo critico del catalogo apre con un’importante considerazione sull’onestà dell’artista. Può spiegare a cosa si riferisce nel suo lavoro questa qualità?

Il concetto di onestà in Gipi è da intendersi secondo una doppia prospettiva, in cui sono compresi il libro e il lettore. Ogni volume è il frutto di articolate riflessioni, che riguardano il piano della tecnica, dello stile e della narrazione. Essere onesti vuol dire creare storie sempre originali e varie, che magari spiazzano e disorientano il lettore in prima battuta, piuttosto che compiacerlo, blandirlo. Non si troveranno mai in Gipi serie narrative: i personaggi, così come le tecniche, cambiano sempre. È come se l’artista alzasse continuamente l’asticella qualitativa: il lettore deve ogni volta trovare una chiave interpretativa efficace, che quasi mai è univoca, ma risponde a quelle che sono le proprie esigenze soggettive. In questo senso, l’opera di Gipi è “aperta”.

Gipi, artista rabdomante, come lo definisce nel testo…la sua tecnica, sempre diversa “sgorga” nel momento in cui trova la storia. Che idea si è fatto di questo procedimento? È una virtù o piuttosto una specie di condanna per l’artista?

Gipi è tormentato da una sorta di ansia creativa inestinguibile, che egli stesso vive dolorosamente. Tuttavia, questi sono i segni del vero artista, di chi non si accontenta mai, e cerca invece di scoprire sempre nuove tecniche grafiche e nuovi stili narrativi. La tecnica nasce insieme al libro: è un’idea po(i)etica e creativa di altissimo livello.

Quello dell’identità è un concetto caro al fumettista. Come l’affronta nei libri le cui tavole sono esposte in mostra?

Il tema dell’identità percorre quasi la totalità delle opere in mostra- Esterno notte, Appunti per una storia di guerra, unastoria, La terra dei figli– e unisce il piano della microstoria con quello della grande storia. I volti dei protagonisti portano impressi, indelebili, i segni del passato: non solo del proprio passato personale, ma anche di quello della civiltà. Non è un caso che i devoti del Dio Fiko, nella Terra dei figli, sottopongano a un rito di scarnificazione i prigionieri, privandoli dei tratti del volto, oppure che Giuliano, in Appunti per una storia di guerra, continui a sognare delle sagome acefale.

L’identità, naturalmente, non è da intendersi nella versione degenerata di localismo e particolarismo, quanto piuttosto nel senso di polifonica ricchezza culturale, di consapevolezza storica.

L’importante ruolo del testo verbale si diluisce nelle sequenze mute e nelle tavole pittoriche di Gipi, che pure è un grande scrittore. Dove risiede secondo lei la forza narrativa delle immagini senza parole?

Le tavole senza testo possiedono una notevole forza pittorica: osservando i disegni originali è possibile comprendere la sensibilità artistica di Gipi, il suo talento poliedrico. Tuttavia, tali sequenze pittoriche non sono mai disgiunte dal filo narrativo complessivo: sono anzi estremamente funzionali al racconto, trait d’union fondamentale e prezioso tra la proiezione empatica dell’artista nella natura, e il coinvolgimento altrettanto empatico dei lettori nella storia. I paesaggi, spesso dilatati su orizzonti lontani, comunicano con efficace immediatezza il senso complessivo di delicati snodi narrativi.

Nel libro si parla anche della percezione sociale del fumetto, o del romanzo a fumetti: qual è lo stato dell’arte, soprattutto per quanto si riferisce agli studi accademici?

Il fumetto è un oggetto semioticamente complesso, e proprio per questo necessita di competenze e sensibilità particolari. Spesso è (stato) visto come versione minore dell’arte e della letteratura “alte”, mentre probabilmente, superando barriere e pregiudizi duri a morire, è uno dei mezzi artistici che maggiormente riesce a fornire chiavi di lettura efficaci della contemporaneità, senza tralasciare ovviamente l’aspetto creativo: un bravo fumettista è un artista a tutto tondo in grado di disegnare tavole pittoricamente affascinanti eppure narrativamente pertinenti. In una società in continua e frenetica evoluzione, un vero artista, indipendentemente dal mezzo che usa, deve essere in grado di suscitare dibattiti culturalmente rilevanti, sia da un punto di vista tecnico-artistico, sia da un punto di vista socio-estetico.