Era una donna bellissima, di straordinaria raffinatezza e caratura intellettuale, possedeva naturalmente quella che si dice la presénce, Giovina Iannello Volponi, mancata ieri a Urbino all’età di novantadue anni. Da sempre Giovina era semplicemente Giovina, una di quelle persone che possono persino vedere abolito il cognome e rimanere tuttavia perfettamente individuate, riconoscibili.
Suo marito Paolo Volponi, uno dei massimi narratori del secolo scorso, confessava talora con candore di temerne il giudizio nello stesso momento in cui ne confermava, per lui, la assoluta necessità. Giovina era un frutto speciale con appena un filo di esotismo che si aggiungeva alla nativa eleganza, apparteneva ad una civiltà cosmopolita che oggi, al tempo delle chiusure identitarie, sembra inconcepibile.
Era nata a Tunisi, da madre greca e padre italiano, aveva vissuto in Algeria, si era laureata in Giurisprudenza e poi specializzata ad Harvard, un fatto allora più unico che raro. Poco dopo, Adriano Olivetti l’aveva scelta come sua prima assistente e lì, ad Ivrea, in una couche pressoché irripetibile di scienziati e umanisti, aveva conosciuto Paolo, allora un giovane poeta ma presto destinato a una duplice parabola, fra il ’56 e il ’71, tanto di manager industriale (responsabile delle relazioni esterne, in seguito del personale) quanto di romanziere, da Memoriale (’62) a Le mosche del capitale (’89), che di quella leggendaria esperienza, si potrebbe dire di incivilimento del capitalismo italiano, avrebbe perpetuato la traccia. Degli olivettiani Giovina manteneva non solo la cultura (nessuno ha mai computato il numero delle lingue che conosceva) ma il garbo e il senso della sostanziale «politicità» di qualunque creazione dell’intelligenza. Con Paolo, ad esempio, condivideva la passione per l’arte e il Gran Secolo e basti rammentare la donazione a Palazzo Ducale di Urbino (tele di Guido Reni, Ribera, Battistello Caracciolo) a seguito della scomparsa, nel disastro aereo dell’Avana, del primo figlio Roberto. E vale aggiungere la sua grande oculatezza nel gestire l’eredità letteraria del marito, a partire dalla promozione dell’opera omnia, da Einaudi, a cura del maggiore specialista, Emanuele Zinato, fino alla attuale riproposta dei romanzi nei Tascabili grazie all’impegno di Mauro Bersani.
Recentissima, in dicembre (ma Giovina era già malata e nella impossibilità di intervenire), la donazione all’Università di Urbino delle carte dello scrittore che la seconda figlia, Caterina, viene da tempo rintracciando e annotando. Del profondo fascino di Giovina restano le testimonianze degli amici (dell’amicizia Giovina aveva un culto discreto e tenace) fra cui alcuni protagonisti del Novecento, da Giovanni Raboni che le dedicò una delle sue ultime poesie, a Mario Dondero che seppe catturare il suo sorriso penetrante, indimenticabile.
I funerali di Giovina Iannello Volponi si terranno domani, sabato, alle 15.30 nella chiesa di San Domenico, a Urbino.