Poco più di due anni fa il parlamento italiano approvava la legge sulle unioni civili monca della tutele per i figli di lesbiche e gay, una menomazione ottenuta dalle destre e dal fronte cattolico grazie a una pressante campagna d’opinione volta a spaventare i cittadini.

Riconoscendo i figli delle coppie omosessuali – si disse – aprirete all’utero in affitto, ai bambini fabbricati e comprati. Quanto quella campagna fosse falsa e menzognera i lettori del manifesto lo sanno e non vale spenderci troppe parole: la gestazione per altri non riguarda solo le coppie omosessuali, la mancata tutela colpì soprattutto figli di due madri, è incivile togliere diritti a minori per “dare una lezione” ai genitori.

E tuttavia la campagna ebbe successo. Due anni dopo, le famiglie arcobaleno stanno battendo altre vie per il riconoscimento della loro genitorialità. Quella vicenda, dolorosa, è alle spalle.

Come Famiglie Arcobaleno abbiamo deciso di ospitare giovedì alle 19.00 a Milano, per un incontro pubblico al Teatro Elfo Puccini, Vanessa Candelaria e Jamie Canevari, due donne che hanno scelto di essere portatrici, per un motivo ben preciso: restituire loro l’individualità, la loro biografia particolare schiacciata da una narrazione prevalente che la vorrebbe cancellare.

Con un movimento tipico di questi anni per cui l’assunto ideologico prevale sempre sull’analisi del reale, l’incapacità o il rifiuto di considerare la procreazione e la genitorialità come due momenti separati e scindibili nella biografia di ogni persona ha portato a cancellare qualsiasi storia che smentisse questa visione.

I genitori adottivi, le madri non gestazionali nelle coppie lesbiche, hanno provato il pregiudizio di chi vorrebbe revocare la patente di genitorialità in nome del sangue. Nei confronti delle portatrici è stato operata in direzione inversa la stessa negazione. Se una donna procrea e non vuole essere madre, essendo le due cose inscindibili, allora o è pazza, o non è in grado di scegliere per sé. Questo è l’assunto di quella variegata opposizione alla gestazione per altri che ha deciso così di togliere ogni diritto di parola alle portatrici, emarginandole nel recinto delle vittime incapaci di esprimersi. Sostengono di aver scelto volontariamente di essere portatrici considerano il dato economico secondario? Mentono. Dicono di provare un forte legame di affetto con il bimbo che hanno fatto nascere ma di non sentirsi madri di questo? In realtà soffrono, anche se non lo ammettono.

Che una posizione del genere venga dalla Chiesa e dalla destra tradizionalista non è sorprendente. Più sorprendente che abbia trovato sponda in una frangia minoritaria del movimento lesbico e femminista che, nell’ansia di negazione del reale, dopo aver travolto le portatrici si è autoproclamata unica depositaria del pensiero lesbico italiano, ignorando allegramente che, ad esempio, Famiglie Arcobaleno è soprattutto un movimento fatto e guidato da lesbiche.

La gestazione per altri, lo sappiamo, non riguarda solo i padri gay. Se come associazione ci facciamo carico di promuovere un racconto che restituisca al meglio possibile la complessità delle scelte delle donne che partoriscono per altre e per altri, è perché pensiamo che sia un contributo importante nel racconto di una mutazione sociale più ampia: gli anticoncezionali prima e le tecniche di pma dopo hanno reso palese il disgiungimento tra procreazione e genitorialità. Per le donne la maternità può e deve essere soprattutto una scelta. Ascoltiamo le storie delle portatrici, lasciamole parlare: ci raccontano della libertà delle donne.

* Famiglie Arcobaleno