Niente taglio al cuneo fiscale. Lo ha annunciato ieri il ministro del Lavoro Enrico Giovannini. Se ne riparlerà in autunno con la legge di stabilità. Una legge alla quale il governo Letta sta affidando tutte le speranze residue di una crescita reale dell’occupazione. In questo modo si rischia di creare un ingorgo clamoroso sotto natale, mentre già emergono i timori che le risorse assenti oggi, saranno ancora meno allora. «Per ora stiamo facendo interventi a risorse limitate – ha detto Giovannini – il governo è realista e sa che per simili interventi servono risorse ingenti che in questo momento non può permettersi». Al momento, dunque, il governo non sa dove trovare le risorse per abbattere la differenza tra costo del lavoro e retribuzione netta. In Italia, il cuneo fiscale è tra i più alti in Europa, nel 2012 aveva raggiunto il 47,6% contro una media Ocse del 35,6%. In altre parole, un’azienda che paga 100 euro ad un dipendente deve versarne altri 90 per tasse, contributi e carichi di lavoro. A questa cifra dovrebbe essere aggiunti l’Irap e i contributi Inail, che non vengono contabilizzati nelle statistiche Ocse. Il totale del «costo del lavoro» fa dunque molto più di 190 euro che un privato, come il pubblico, devono versare per assumere a tempo indeterminato un lavoratore. Contro il «costo del lavoro» Giorgio Squinzi (Confindustria) sta conducendo da mesi una battaglia. A suo avviso il taglio di tasse e contributi per le imprese dovrebbe favorire la «crescita» e l’occupazione. Non è chiaro se questo corrisponde all’aumento dei salari, tra i più bassi in Europa. Ieri, Squinzi ha comunque mantenuto un rumoroso silenzio. Il presidente della commissione lavoro alla Camera, Cesare Damiano (Pd) ha detto: «Se la legge di stabilità dovrà risolvere una pluralità di emergenze, non vorremmo che per l’esiguità delle risorse si scoprisse di dover fare a meno di una correzione al sistema pensionistico». Il governo Letta è solo all’inizio dei suoi guai.