Per quanto oggi poco ricordata, restò a lungo memorabile l’invettiva contro Roma che Giovanni Papini lanciò cento anni fa. Il 21 febbraio del 1913, al Teatro Costanzi, come allora si chiamava l’odierno Teatro dell’Opera, nel corso della prima «Grande Serata Futurista» organizzata da Filippo Tommaso Marinetti, Papini tenne un breve discorso. Un cronista de «L’Italia», il giorno dopo, scriveva: «discorso che nessuno ha sentito tale era il tumulto, tale l’incrociarsi di vituperi».

Prontamente stampato, il testo fu distribuito in teatro, affollato da oltre duemila persone in ogni ordine di palchi e in platea, nella successiva seconda serata. Scrive Papini: «domenica sera 9 marzo 1913 i romani del Costanzi hanno risposto al mio atto di accusa con le seguenti validissime argomentazioni storiche e filosofiche: fagioli, patate castagne, carciofi, limoni, arance, mele e altri prodotti delle selve, dei campi e degli orti. E hanno rovinato non già le mie verità ma un violino dell’orchestra e una quinta della scena».

Tra le ‘verità’ di Papini questa: che «Roma è stata grande con le armi e l’amministrazione e mai colle arti e col pensiero». Le sue bellezze sono opera di artisti non romani.

Ancora: «questa città ch’è tutto passato nelle sue rovine, nelle sue piazze, nelle sue chiese; questa città brigantesca e saccheggiatrice che attira come una puttana e attacca ai suoi amanti la sifilide dell’archeologismo cronico, è il simbolo sfacciato e pericoloso di tutto quello che ostacola in Italia il sorgere di una mentalità nuova, originale, rivolta innanzi e non sempre indietro». Papini riporta le reazioni del pubblico alle sue parole: «berci furiosi, urli bestiali, incrocio di ingiurie, grugniti, ragli formidabili, colluttazioni in platea, esplosione generale».

C’è un modo provocatorio e ‘fisico’ nella conduzione delle serate che i futuristi perseguono e che, sull’onda dello scandalo, guadagnerà loro una assai larga fama. Nel discorso di Papini la insolenza contro Roma non è affatto nuova.

Anzi. È stereotipo costante che ha preso nuovo vigore almeno a far data dal Cinquecento. Ma è la forma teatrale nei modi del tumulto e dello scontro comiziesco che risultava nel 1913 inusuale, dove la platea agitata e il palcoscenico danno luogo insieme a una rappresentazione della rissa come espressione intellettuale e della colluttazione come intervento culturale. Rifletto come vi fosse nella accesa contesa un punto che nessuno degli antagonisti poneva in discussione o revocava in dubbio: Roma è la Città.

Mi chiedo quale sia oggi l’identità di Roma come città. Sembra opportuno parlare piuttosto di una costellazione di agglomerati urbani che, propriamente, di una città. Intorno al nucleo antico, nel corso di un secolo, si è aggregata una edificazione brada e intensiva, intesa in larga misura al mero ricovero abitativo. Così come quello di città anche quello di periferia appare a Roma un termine forse improprio, comunque da precisare. Periferia implicava un convergere delle dinamiche cittadine, un loro ‘orientarsi’ verso un centro.

Quanto, un tempo, dicevamo periferia appare oggi o come un segmento riconoscibile e quindi, in certa misura, se non autonomo, a sé; o come una porzione anonima della vasta estensione di fitti insediamenti costruiti in divergenza dal centro, che si dilatano slabbrati in frange a macchia. Proliferati l’uno accanto all’altro in espansione continua e senza ordine, per aggregazione, appunto.

Qui le dinamiche centripete, che operano come possibili poli unificanti e identitari, sono, di più in più, di ordine virtuale. Un forte catalizzatore quotidiano va individuato nelle emittenti televisive e nella rete informatica, poi, che ‘indirizza’, fornendo percorsi assai determinanti e più frequentati delle strade di raccordo e tra isolato e isolato. I ‘centri’ commerciali forse, più ancora dei luoghi di culto e delle scuole, svolgono una funzione accorpante.

Si forma un senso di appartenenza attraverso le tifoserie sportive. Una qualche coscienza del ‘pubblico’ può nascere da fatti eclatanti di cronaca locale, dalle tensioni create da contiguità di etnie e gerghi diversi. Roma Capitale come città è una visita turistica ai monumenti.