Un secondo album inciso per la Ecm decisamente incantevole, che esalta il suo tocco di pianoforte leggero e al contempo presente e sostanzioso. Con This is the Day, Giovanni Guidi – nato a Foligno trent’anni fa da dove è partita la sua rapida ascesa salutata da pressoché unanime plauso e ammirazione in ambito jazz (e non solo), dimostra personalità e uno stile deciso e tagliente. Una carriera ricca di incontri e di dischi, sette con le tante formazioni a cui ha partecipato ma sempre come bandleader e due come sideman, e fitta di concerti, un centinaio circa l’anno. Talento quello del musicista umbro coltivato attraverso studi, ascolti e creatività, dove nulla appare scontato né strizza l’occhio alle mode.

Eppure all’inizio non era proprio tanto sicuro di dedicarsi al pianoforte. È stato Enrico Rava – nel corso di un seminario estivo a Siena – a spingere verso lo studio dello strumento il giovane allievo di cui aveva intuito le enormi potenzialità. This is the day è un progetto in trio dove è affiancato dal batterista portoghese Joao Lobo e il contabbassista americano Thomas Morgan, dedicato alle ballad. «Un lavoro – come sottolinea l’artista umbro raggiunto telefonicamente tra una data e l’altra del tour – nato in modo spontaneo. Quando arriva il momento di incidere, butto giù le partiture solo pochi giorni prima di iniziare e in questa occasione è stato addirittura più veloce. Qui mi è capitato di avere delle intuizioni qualche minuto prima di entrare in sala per provare un suono, salvo poi uscirne con due pezzi, Trilly e The Cobweb, finiti nel disco. Mi piaceva l’idea di muovermi con leggerezza su spazi molto larghi dove poter interagire con Morgan e Lobo». La stessa delicatezza mostrata anche nell’arrangiare i due standard presenti nel cd – Quizas Quizas Quizas di Osvaldo Farrés e I’m through with love di Nat King Cole: «Sono due canzoni che ho sempre amato e che eseguo spesso dal vivo».

Guidi Trio

La costruzione dei brani permette al trio di interagire senza sovrapporsi: «Sono dei brani semplici e si adattano molto bene come una sorta di ’struttura’ su cui si può improvvisare senza problemi. Ad esempio ci sono una serie di pezzi composti in modo che Joao potesse lavorare liberamente. È come un campo aperto in cui è possibile a tutti e tre, durante la performance, esprimersi mantenendo ognuno la propria peculiarità. Pur avendo una componente tematica forte, ogni canzone lascia un grande spazio sul quale si può lavorare attraverso l’improvvisazione». Un’attività quasi frenetica quella di Guidi: da solo, in trio con Lobo e Morgan e poi con Kinzelman e Soupstar, il quartetto con Cigalini, solo per citarne alcuni…: «In realtà io procedo in maniera molto, molto semplice. Anzitutto faccio delle cose che mi piacciono con persone che stimo e non sono progetti messi in piedi semplicemente per sottolineare un’idea di eclettismo. Il problema semmai è quello di tenersi sempre in forma, esercitarsi e creare un repertorio di centinaia di pezzi che vanno memorizzati. La difficoltà sta proprio nell’interiorizzarli…».

Enrico Rava è stato fondamentale nella formazione musicale di Guidi: «È stato un privilegio avere come insegnante uno degli ultimi grandi rimasti della storia del jazz, e parlo di quegli anni – ’70 – in cui il genere si strutturava e si destrutturava, era sempre in movimento. Da lui ho imparato soprattutto come gestire il concerto in assoluta libertà, non fare scalette, costruirlo sul palco». Per spiegare il suo ruolo nei live set utilizza una metafora calcistica: «Mi sento un po’ come un centrocampista quando deve smistare i palloni. Posso dare uno spunto al trombettista per poi rilanciarlo al trombonista. Ecco, gioco in un ruolo di congiunzione fra la difesa e l’attacco…».

Negli ultimi anni molti musicisti sono andati a ripescare brani dal repertorio pop per riproporli con arrangiamenti jazz. Niente di nuovo, accadeva già nei ’40 e ’50: «L’ho trovato interessante all’inizio e ho anche condiviso quell’approccio. Adesso però ho la sensazione che la maggior parte di queste operazioni siano di tendenza modaiola. Quasi si volesse scegliere una via preferenziale per rivolgersi a un certo tipo di pubblico, ma poi in realtà non è così perché è inutile rifare i Radiohead, suona già vecchio in partenza. Se un musicista riprende un brano e lo fa in maniera spontanea perché sentiva la necessità di rifarlo è un conto, ma se lo fa solo per strizzare l’occhio a una fetta di pubblico e vendere qualche copia in più non ha decisamente più senso…».