Negli anni 730 e 731, contro l’editto imperiale emanato a Costantinopoli da Leone III che imponeva la distruzione delle immagini religiose, il monaco Giovanni Damasceno compone tre Discorsi apologetici contro coloro che calunniano le sante immagini. Si tratta di testi capitali, ratificati nel 787 dal Concilio di Nicea, che istituiscono il concetto di immagine quale un cardine della teologia cristiana.

A proposito della morte in immagine, Giovanni Damasceno scrive: «se qualcuno entrasse in una casa sui cui muri un pittore (…) raffigurasse il Cristo crocifisso, e ti si chiedesse: ‘Chi è questi?’, tu diresti: ‘Cristo Dio, che si è incarnato per noi’». Il Verbo si è fatto carne, corpo mortale, l’incarnazione del Verbo raffigurata nel Crocifisso, immagine del corpo di un uomo morto: «Noi veneriamo le tue sofferenze. Chi vide mai venerata la morte, chi vide mai onorate le sofferenze? Ma realmente noi veneriamo la morte corporea del mio Dio e le sue sofferenze apportatrici di salvezza».

La morte di Cristo è la morte di ciascuno di noi e la mia in primo luogo. Chi è in vita premonisce la sua propria morte nel constatarla in quella d’un altro: nella sua soltanto posso pensare la mia, pensare il morire del Cristo come il mio stesso morire. Nel ragionare la mia morte, debbo concentrare in coloro che sono morti il pensiero della morte che sarà la mia: in una destituzione del me presente cerco di realizzare una intrinsechezza con colui che è morto.

La meditazione sull’immagine del corpo crocifisso di Cristo, alla quale Damasceno invita, comporta una assunzione integrale di quella morte. Assumere come la tua propria la morte del Cristo equivale al riconoscimento che il morire di un uomo qui, accanto a te, è per il cristiano il capitale connotato della condizione umana. È questo il modo attraverso il quale l’irreversibile morte dell’altro si fa reversibile, converge in te, è da te accolta, e la distanza diviene coincidenza.

Sta in questo conferire ad esso l’imago dei, sottolinea Damasceno, la rilevanza che il corpo (id est il cadavere e la resurrezione dei corpi) prende nei cristiani. È, la condizione effettuale del cristiano, contesto di immagini. Dice Paolo: «al presente vediamo infatti come attraverso uno specchio, in maniera confusa, allora invece faccia a faccia. Ora (io vivo) conosco solo parzialmente, allora (io morto) conoscerò nello stesso modo con cui sono conosciuto».

Solo in immagine – per speculum – il cristiano ‘vede’ il divino, e solo ne ‘parla’ in enigma, per allusione. Dio è per l’uomo verbum-imago, non una corrispondenza ‘faccia a faccia’, ovvero piena conoscenza. Nella effettuale condizione sono, sì, conosciuto da Dio, ma conoscerlo posso io solo per difetto. Al difetto, alla mancanza posso supplire con il desiderio di conoscenza che non è conoscenza piena, ma caritas, cioè assunzione della condizione difettiva, limitata e cioè umana, tesa tra un ora, secondo la parola di Paolo, e un allora.

La vita e la morte come reciproca diffrazione di tempo presente e tempo futuro. Ciò che è per essere in rapporto a ciò che è accaduto. Il presente è l’imminenza della mia morte quale relazione all’avvenuta morte di un altro. Il senso del presente come diffrazione, sta nella constatazione del morire, qui e ora, dell’altro uomo, immagine di Cristo. Constatazione o, più propriamente, contemplazione. Assimilazione, se contemplare è istruire entro di sé e assumere il tempo della morte altrui come il tempo della mia vita.

Consapevolezza d’una condizione nella quale è l’imminente – l’incombere della propria morte – il connotato vero del tempo mio. Ma, giacché l’imminenza ha il senso che le deriva da una morte avvenuta nell’altro e da me assunta, è dentro un pensiero del tempo come passato che l’imminente ha significato. Passato: forse meglio si dice accaduto, compiuto, perfectum. Imminenza da accaduto, dunque l’accadere, come sincronia per diffrazione di imminente e di compiuto.

Condizione di essere per essere del giungere a compimento. Mio essere per essere come tempo del mio imminente compimento: tale è la dimensione che impone al cristiano il pensiero della morte del verbum-caro.
E formulato pensiero di vita è la costituita immagine della morte del Dio incarnato come Crocifissione.