In vista della New York Fashion Week (6/13 febbraio), che apre il lungo mese delle presentazione delle collezioni di moda femminile dell’inverno 2014-15 (segue Londra, Milano e Parigi), con dovizia giornalistica degna di maggior causa, il quotidiano di moda americano Women’s Wear Daily ha pubblicato le anticipazioni della quasi totalità degli stilisti americani che sfilano a New York, sia sotto i tendoni del Lincoln Center organizzati e pagati dalla Mercedes Benz, sia dei tantissimi altri che presentano in location indipendenti.+

Va detto che a New York, oltre ai famosi marchi come Calvin Klein, Ralph Lauren o Michael Kors e altri, sfilano al tre centinaia di marchi, perlopiù conosciuti solo agli addetti ai lavori. E la maggior parte di loro sono disegnati da giovani e giovanissimi (dai 25 ai 35) da cui ci si aspetterebbe una visione proiettata al futuro della moda di oggi, visto che si crede che i giovani hanno un’immaginazione più fertile e meno agganciata ai rituali della tradizione. Ma a leggere i virgolettati degli stilisti riportati da WWD sotto a ogni schizzo, le braccia cadono al livello delle ginocchia, sia per il lessico sia per il significato di quello che esprimono.

Se si parte, infatti, da un nome abbastanza famoso come Thom Browne che, sotto uno schizzo di figura tondeggiante, scrive «Le suore sono cool» e si prosegue con una Victoria Beckam (ex Adams delle Spice Girl, moglie del calciatore David e stilista affermata) che affida alla figura di un cavalluccio marino la sua aspirazione (voleva dire che si deve andare avanti per andare indietro?), si arriva a «Opulenza monastica» di Brian Wolk, passando attraverso le superlative espressioni di «Superfici tattili e linee pulite» di Alexa Adams, «Astrazione» di Jack McCoullogh e Lazzaro Hernandes che disegnano il marchio very cool Proenza Schouler, «Sporty swimwear» scritto sotto un abito da sera di Rosie Assoulin, «Sfaccettature di donne» di Mathieu Mirano e altri non-sense involontari.

Per passare, poi, alle espressioni più filosoficamente pregnanti, come: «Volevo esplorare uno sguardo lucidamente femminile che approccia un look da cacciatore maschiaccio» di Jerome Lamaar; «Un’escursione sulle Alpi francesi con ai piedi le scarpe di Manolo Blahnik» di Adam Selman; «Eleganza austera» di Jason Wu; «Urban Gipsy» di Kenneth Cole; «Bellezza irregolare» di Jill Stuart; «Il folklore russo visto nell’opulenza quotidiana» di Josie Natori; «Il mio Wonderword esplora spazi abbandonati, tipici del parco divertimenti dei defunti». E qui mi fermerei, per carità di settore, se non dovessi citare il fondamentale «La mia collezione trae ispirazione dall’apparizione delle prime star del rock, quando trovavano la loro ragione di esistere come artisti e icone della moda», di Jay Godfrey.

La capacità impunita che hanno i giovani designer di oggi di parlare del nulla e rivolgersi a un passato che non conoscono per interpretare il presente è quello che Pierre Bergé, già nel 2001, ha chiamato «La morte della moda».