Al professor Piero Bevilacqua il merito di aver sollevato la questione giovanile come tema (che dovrebbe essere) centrale nel dibattito della sinistra italiana. Al manifesto quello di aver colto l’occasione per aprire una campagna di discussione pubblica sul giornale. Fatta la doverosa premessa, alcune considerazioni spero non troppo polemiche.

1) A sinistra la questione giovanile è sempre e solo evocata. Dobbiamo ringraziare qualche “adulto” di buona volontà che ogni tanto fa notare che “i nostri ragazzi” se la passano piuttosto male. A volte nelle occasioni pubbliche si prevede la “quota giovane” (se donna è meglio, perché nel mondo della politica, anche a sinistra e soprattutto ai livelli dirigenziali, gli uomini sono nettamente più rappresentati delle donne). In generale sui media si fa a gara a chi racconta il giovane precario più “sfigato”. Prolifera la narrazione della generazione precaria, senza mai dare realmente voce alle istanze e alle rivendicazioni delle lotte precarie.

2) Qualcuno a sinistra ha posto in maniera forte e – dal suo punto di vista – efficace il tema del ricambio generazionale dei gruppi dirigenti. Quel qualcuno si chiama Renzi e ha costruito il suo consenso sulla “rottamazione”: ha aperto uno scontro con le “vecchie classi dirigenti” del Pd e l’ha vinto. Io personalmente non mi sento rappresentata dal Presidente del Consiglio quarantenne che millanta innovazione e cambiamento e poi nei fatti governa nell’interesse dei poteri forti; così come non mi sento rappresentata dal Presidente della Repubblica (quasi) novantenne che continua a ingerire pesantemente sul Parlamento e sulla nostra fragilissima democrazia. In ogni caso, non possiamo ignorare lo “scontro generazionale” agitato nel Pd.

3) Qualcun altro nel panorama politico italiano ha posto il problema del ricambio generazionale ed è il movimento 5Stelle. Anche in questo caso si tratta di un’operazione in gran parte di maquillage, per presentare facce fresche, pulite e sconosciute in alternativa alla “casta”. Sempre personalmente, dal mio limitato punto di vista, ho un’altra idea della politica. Ma anche in questo caso non possiamo ignorare il messaggio di cambiamento che questa forza politica è riuscita a trasmettere all’elettorato e alla società.

4) Ha molto ragione il prof. Bevilacqua quando fa notare che la questione giovanile in Italia non è effetto della crisi, ma rappresenta un problema strutturale del modello sociale, politico ed economico nel nostro paese. Mi permetto di aggiungere che se fino qualche anno fa eravamo ancora in tempo a porci il problema dei “giovani”, oggi – per problemi strutturali, per effetto della crisi e per le politiche recessive messe in atto per (non) uscire dalla crisi – dobbiamo necessariamente allargare lo sguardo a più generazioni. Prima di tutto i giovanissimi che vanno ancora a scuola e che sempre più decidono di non proseguire gli studi perché non vedono nessun tipo di prospettiva di realizzazione personale (confessione d’obbligo: io ne parlo così perché ho il mio punto di vista di “vecchia” 31enne; consiglio a chiunque di partecipare ad un’assemblea dell’Unione degli Studenti, per esempio, e di chiedere agli studenti stessi cosa pensano a questo proposito, prima di sentenziare sulle generazioni perdute).

Poi ci sono i giovani, volendo semplificare tra i 20 e i 30 anni: qualcuno studia ancora all’università, qualcuno si è già affacciato su un mondo del lavoro che li vuole schiavi, “disposti a tutto” (questa la denuncia di una bella campagna dei giovani della Cgil di qualche anno fa), pronti a lavorare gratis o per poche centinaia di euro al mese, rigorosamente con contratti di collaborazione o prestazione occasionale, sapendo perfettamente che staranno peggio dei loro genitori. Per loro esiste solo la gestione separata Inps; il sindacato lo devono cercare appositamente perché la rappresentanza per i precari è un lusso; pensano che malattia, maternità e tredicesima siano residui di un secolo che è ormai passato, un po’ come il codice morse, il fax o la segreteria telefonica. E infine ci sono gli adulti (dai 30 anni in su, ormai non c’è più un limite superiore di età): impoveriti, ancora precari o disoccupati; qualcuno con fatica prova a costruirsi una sua famiglia, facendosi aiutare dai genitori quando possibile; qualcun altro si ritrova a dover sostenere la propria famiglia d’origine, a sua volta resa più fragile dalla crisi e da un sistema sanitario e di welfare sempre più deboli. Hanno professionalità più o meno definite, affrontano importanti responsabilità a lavoro eppure non hanno nessun riconoscimento perché contratti e avanzamenti di carriera sono bloccati, perché ci sono dirigenti – “adulti” che sono arrivati prima (quando ancora si faceva in tempo a diventare adulti) – che non si sono posti il problema di garantire un ricambio: delle persone, delle idee, delle responsabilità, dei progetti.

5) Da giovane e donna, nel mio fare politica sono solita “partire da me”: ho iniziato a contestare i miei insegnanti quando avevo 15 anni (quando ero davvero una ragazza); da rappresentante degli studenti all’università non ho mai avuto paura di dire le cose più scomode ai professori che poi incontravo (e stimavo) a lezione o durante gli esami; nella mia esperienza di rappresentanza e militanza ho avuto l’opportunità di confrontarmi/scontrarmi con parlamentari, ministri e sottosegretari sui problemi della ricerca e della formazione. Eppure, ancora oggi, dobbiamo ringraziare un professore per aver ricordato alla sinistra la questione giovanile.

Negli anni abbiamo più volte posto il tema: con contributi e articoli su ilcorsaro.info; attraverso la provocazione di Voglio restare (“le risposte di una generazione che non si arrende”, “cambiare il paese, per non dover cambiare paese”); proprio in queste settimane con la campagna “La nostra vita non è un gioco” di Act, contro la riforma del lavoro del governo. Eppure la sinistra, a quanto pare, non riesce ancora a trovare le centinaia e centinaia di giovani (e non più tanto giovani) donne e uomini che nel nostro paese cercano di barcamenarsi tra lavoro, non lavoro, vita privata e voglia di esserci comunque: nel movimento antimafia, in piazza con il sindacato, contro le guerre, a raccogliere le firme per presentare una lista che evoca un’Altra Europa possibile (e che invece poi si è rivelata l’ennesima delusione da mettere nell’archivio dei fallimenti della sinistra italiana).

6) Per tutti questi motivi, personalmente non vorrei che la sinistra si interrogasse su come definire un programma per la “gioventù”. Vorrei che ci ponessimo l’ambizione di un piano per il futuro, capace di guardare al paese e non semplicemente ai “giovani”: il futuro da sognare e costruire con solide radici nel presente, nel qui e ora delle nostre condizioni materiali di vita così sofferenti. E vorrei che (almeno) la sinistra smettesse di parlare dei giovani e liberasse invece spazi nuovi, freschi, aperti: di parola, di proposta, di azione, di responsabilità. Di potere: non come sostantivo (non si tratta di prevedere quote o concedere “posti”), ma come verbo di liberazione delle nostre vite.

Noi ci siamo. Con la consapevolezza di non essere mai sufficienti a noi stessi, proviamo giorno per giorno a contaminare i luoghi della sinistra politica e sociale in Italia. Ricordandoci sempre che non basta essere differenti: bisogna fare e praticare la differenza, segnare una discontinuità dalle miserie del reale, sperimentare l’alternativa, immaginare l’impossibile per costruire il possibile e farlo diventare realtà.