Sproloquiano, pontificano, raccomandano di valorizzare il talento dei giovani e poi, appena qualcuno vince qualcosa che non preveda un campo di calcio, una medaglia olimpica, una disciplina sportiva, la nostra stampa e tivù si girano dall’altra parte. Non si può nemmeno dire che chi dirige la gerarchia delle notizie non ami i vincitori, perché quelli di cui parlerò hanno vinto eccome. È proprio l’ambito dei premi che lascia indifferenti i soloni delle news, e qui sta il problema.
Nel giro di due giorni, fra il 23 e il 24 ottobre scorsi, alcuni musicisti italiani hanno vinto o sono arrivati fra i primissimi posti di concorsi internazionali fra i più difficili e prestigiosi al mondo. Giuseppe Gibboni, salernitano, a vent’anni ha vinto il primo premio assoluto del 56esimo concorso intitolato a Niccolò Paganini e che si tiene a Genova ogni triennio (un tempo era ogni anno). Ci sono poi due pianisti che hanno partecipato al Concorso Chopin che si svolge ogni cinque anni a Varsavia e alla cui finale accedono solo in sei. All’edizione di quest’anno, la diciottesima, partecipavano 160 strumentisti da tutto il mondo. L’italo-sloveno Alexander Gadjiev, 27enne nato a Gorizia, è arrivato secondo mentre Leonora Armellini, padovana, 29 anni, così talentuosa da essersi diplomata a soli 12 anni, è arrivata quinta.

SIA A PAGANINI che al Chopin le selezioni sono talmente severe che più di una volta il primo premio o altri della sestina non sono stati assegnati. Da quando esiste, nel 1927, il Chopin è stato vinto da un solo italiano, Maurizio Pollini nel 1960, mentre l’ultimo italiano a vincere il Paganini era stato Giovanni Angeleri, nel 1997, il primo Salvatore Accardo, nel 1958. Non è tutto, l’Accademia Bizantina, ensemble fondato a Ravenna nel 1983, ha vinto il Gramophone Classical Music Award come miglior formazione dell’anno. Per dare un’idea, in finale c’erano orchestre quali i Berliner Philharmoniker.
Per tutta l’estate abbiamo celebrato i campioni dell’Europa calcistica, seguito con dirette quotidiane gli atleti olimpionici a paralimpionici, gioito per il vincitore infangato della Parigi-Roubaix, per la vittoria ai campionati europei femminili e maschili di pallavolo, per la medaglia d’oro ai mondiali di ginnastica artistica. Tutto ciò va benissimo. Ma perché, perché ignorare del tutto i suddetti musicisti? Faccio ipotesi. Uno: a direttori e caporedattori non importa nulla della musica classica perché non ne capiscono nulla.

DUE: SI ACCORGONO che la classica esiste solo quando si gira uno sdolcinato sceneggiato televisivo ambientato in conservatorio, tranne poi dimenticarsi del duro lavoro quotidiano che significa ore e ore di esercizio, denaro per acquistare costosi strumenti, spazi adeguati dove studiare. Tre: in fondo la pensano come quello sciagurato ministro che diceva che con la cultura non si mangia. Quattro: sono distratti e superficiali. Cinque: vanno dove l’onda della moda comanda.
Danilo Rossi, prima viola e solista dell’orchestra del teatro alla Scala, indignato da tanta disattenzione, ha scritto al Corsera per segnalare la colpevole dimenticanza. Silenzio. Siccome non è tipo da lasciar perdere, ha scritto anche al capo dello Stato suggerendo che non sarebbe una cattiva idea invitare al Quirinale anche questi musicisti, così come è stato fatto con gli atleti. Si attende risposta. E magari qualche concerto, o intervista, o servizio che faccia sapere alla festante nazione che cosa significa arrivare fin lì, che ogni tanto siamo primi al mondo anche nella musica classica e che nella vita non esiste solo il pallone, per fortuna.

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