Sono ormai molti anni che politici, sindacalisti, industriali denunciano il dramma della disoccupazione in Italia, ed in particolare dell’alto tasso di disoccupazione giovanile che è arrivata (aprile 2013) al 40,5%, media nazionale, con un picco nel Mezzogiorno del 52 per cento, ed il record di regioni come la Calabria e la Campania dove si supera il 60 per cento.

Il governo Letta ha messo al centro del suo programma la lotta alla disoccupazione giovanile, ed è pronto a varare un decreto legge per affrontare questo inquietante fenomeno sociale. Come si sa, date le ristrettezze del bilancio dello Stato, al massimo il governo stanzierà un miliardo di euro per incentivare l’occupazione giovanile, utilizzando in gran parte i fondi Ue. L’idea è quella di azzerare per 18 mesi gli oneri sociali per ogni nuovo occupato assunto a tempo indeterminato. Un tentativo ridicolo, data l’entità della somma messa in campo, ed anche inutile dato che in assenza di domanda aggiuntiva le imprese tenderanno solamente ad utilizzare gli incentivi o per nuove assunzioni che avrebbero comunque fatto, o per sostituire alcuni addetti, da licenziare, con giovani disoccupati che godono della esenzione degli oneri sociali.

Per Confindustria non basta, e chiede che si tagli il cuneo fiscale indipendentemente da nuove assunzioni, in modo tale da abbassare il costo del lavoro e favorire le esportazioni. Inoltre, chiede che il taglio del cuneo fiscale del 10%, sia finanziato attraverso la riduzione netta della spesa pubblica, tagliando anche l’esercito dei dipendenti pubblici, evitando di aumentare l’Iva.
Sul Sole 24 ore (14 giugno), Patrizio Bertelli, ad e presidente di Prada, lancia un messaggio chiaro: «Le imprese non possono assumere perché non vendono: il mercato italiano è fermo , per sopravvivere l’export deve essere almeno del 50%». Vale a dire l’Italia, che già esporta il 28% del Pil dovrà diventare un paese totalmente exportoriented, fenomeno che si registra a questi livelli solo in alcuni paesi del Terzo Mondo totalmente gestiti dalle grandi Multinazionali. E’ la stessa idea che ha Marchionne e gli altri industriali di punta del nostro paese.

Se prendiamo in considerazione il periodo 2009/2012, in piena crisi economico-finanziaria, le esportazioni italiane in volume sono cresciute del 21.7 per cento, mentre la produzione manifatturiera è cresciuta solo del 1.7 per cento. Vale a dire: il crollo della domanda interna è stata compensato dall’aumento delle esportazioni. Ma, fino a dove è possibile spingere questo modello?

Per arrivare ad un 50 per cento di produzione esportata, dato l’attuale livello tecnologico delle nostre produzioni, l’Italia dovrebbe abbassare il costo del lavoro a livelli brasiliani, se non cinesi, il che si tradurrebbe in un impoverimento generale ed in una trasformazione del nostro paese in una vasta free zone, uno spazio dove sono esenti le tutele del lavoro e dell’ambiente. Non solo, come ci insegna la storia del secolo scorso, un modello di sviluppo totalmente guidato dalle esportazioni è possibile solo in presenza di un governo autoritario, un regime capace di reprimere le rivendicazioni dei lavoratori e dei cittadini.

Ci sembra che questa sia la strada su cui ci stiamo incamminando. Molti paletti sono stati piantati in questi anni in questa direzione, dall’abbattimento delle tutele del lavoro (art.8 e 18), alla repressione dei movimenti ambientalisti, a partire dalla Val Susa, alla cooptazione del sindacato dentro una logica di “solidarietà nazionale”, al taglio del welfare. Ed è dentro questo percorso che va visto il tentativo di strappare la Costituzione e dirigerci verso un presidenzialismo funzionale a questo modello di neoliberismo autoritario.

E’ dentro queste coordinate che va letto il dramma della disoccupazione, e di quella giovanile in particolare, un fenomeno che è diventato assolutamente funzionale a disciplinare cittadini e lavoratori, ad abbassare le aspettative di qualità del lavoro e reddito da parte delle nuove generazioni, a rendere tutti ricattabili e più poveri.

Il governo Letta se volesse fare una cosa veramente utile potrebbe semplicemente impiegare quel miliardo di euro, che dice di volere destinare all’occupazione giovanile, assumendo 35.000 precari nella Scuola italiana, dove le classi scoppiano e l’organico è nettamente sottodimensionato. Certo, questo non risolve la questione dell’occupazione giovanile, ma almeno ha una sua utilità evidente e crea sicuramente nuova occupazione, oltre a migliorare la qualità dell’insegnamento e investire sul futuro di questo paese. Ed è proprio guardando al futuro delle nuove generazioni che siamo obbligati ad immaginare e costruire un altro modello di società. Le proposte ci sono, non utopistiche e perseguibili, ma ne riparleremo alla prossima occasione.