Cresce l’attesa per lo sciopero generale del 14 giugno, convocato dalle centrali sindacali brasiliane contro la riforma della previdenza, l’erosione dei diritti dei lavoratori, i tagli all’educazione: in una parola contro l’assalto ai diritti da parte dal governo di estrema destra del presidente Jair Bolsonaro. Sarà «lo sciopero generale più grande della storia del Brasile», ha affermato il presidente della Centrale unica dei lavoratori Vagner Freitas.

Che le piazze si stiano riprendendo la parola lo ha indicato del resto anche la manifestazione del 30 maggio, quando, a soli 15 giorni dalla prima imponente mobilitazione contro i tagli al sistema educativo, centinaia di migliaia di «utili idioti» – come li ha definiti Bolsonaro – sono tornati in strada, in almeno 136 città di 25 stati, in difesa di un’educazione pubblica gratuita e di qualità.

LA SINISTRA «comincia a uscire dall’angolo», ha dichiarato l’ex candidato del Partito socialismo e libertà (Psol) Guilherme Boulos, e grazie ai giovani: «Li vedo con il coltello tra i denti, con il sangue agli occhi».
Appena prima, il 26 maggio, era scesa in strada, in appoggio al governo, anche l’estrema destra – con inviti ad assaltare il Congresso e la Corte suprema – allo scopo di accreditare la tesi di un presidente a cui la “vecchia politica” starebbe legando le mani. E ciò in un momento in cui, secondo i dati del sondaggio divulgato dalla piattaforma indipendente Atlas Político, il grado di disapprovazione nei confronti di Bolsonaro (36,2%) ha superato per la prima volta il tasso di consenso (28,6%).

[do action=”citazione”]36% Il tasso di disapprovazione nei confronti di Bolsonaro (36,2%) avrebbe superato per la prima volta quello di consenso (28,6%[/do]

Malgrado le numerose defezioni, come quelle di Vem Pra Rua e del Movimento Brasil Livre che tanta importanza avevano assunto nella mobilitazione a favore dell’impeachment contro Dilma Rousseff, la manifestazione dei «bolsominions» non è stata però un fiasco come, a seconda dei casi, si era temuto o auspicato.

NEPPURE, TUTTAVIA, è stata sufficientemente grande per mettere alle corde un Congresso in lite permanente con il governo, il quale ha giustificato la sua incapacità di costruire una solida base di appoggio parlamentare con il suo presunto rifiuto delle pratiche della vecchia politica. Quanto poi tali pratiche siano tutt’altro che superate lo ha ben chiarito la Folha de S.Paulo, rivelando come il governo abbia promesso a ogni deputato federale che voterà a favore della contestatissima riforma della previdenza un extra di 40 milioni di reais rispetto alla quota del Bilancio federale a cui può accedere ogni parlamentare per opere e infrastrutture nel proprio collegio (una quota pari nel 2019 a 15,4 milioni di reais).

Nel tentativo di superare le tensioni con le altre istituzioni dello stato, Bolsonaro ha comunque invitato il 28 maggio a colazione i presidenti di Camera, Senato e Corte Suprema – rispettivamente Rodrigo Maia, Davi Alcolumbre e Dias Toffoli – al fine di stringere un «patto tra i poteri» che dovrebbe essere firmato entro giugno, garantendo la realizzazione di riforme come quella previdenziale e quella tributaria.

E SE LA PRESENZA DI TOFFOLI alla riunione ha suscitato forti critiche all’interno della magistratura – in quanto non sarebbe autorizzato a negoziare accordi con il governo – il presidente della Corte suprema ha tuttavia difeso il patto a spada tratta, ritenendo che segnerà «un nuovo tempo» nella relazione tra i poteri brasiliani al fine di rilanciare la crescita del Paese, sempre più a rischio recessione.
Nessuno, invece, sembra preoccuparsi granché del drammatico aumento della deforestazione registrato nei primi 15 giorni di maggio, quando è stata abbattuta una quantità di vegetazione quasi uguale a quella andata persa nei nove mesi precedenti: 6.880 ettari di foresta, pari a quasi 7mila campi di calcio.

[do action=”citazione”]6.880 Sono gli ettari di foresta, pari a 7mila campi di calcio, andati distrutti nella prima metà di maggio, quanto nei precedenti 9 mesi[/do]

IL MINISTRO DELL’AMBIENTE Ricardo Salles, noto per aver definito «irrilevante» la questione del riscaldamento globale, non si è scomposto: è tutta colpa dei governi precedenti, ha detto, considerando che «non c’è stato ancora tempo per applicare le nostre politiche», salvo aver soppresso, nel frattempo, il Dipartimento per le foreste e per la lotta al disboscamento.

E ancor meno si è scomposto il terzo figlio di Bolsonaro, Eduardo: «Il 61% del nostro territorio – ha scritto in un tweet – mantiene la stessa vegetazione dei tempi di Adamo ed Eva, contro l’1% dell’Europa».