Si chiama in “Rikudegalim”, la danza delle bandiere. È il corteo con migliaia di israeliani che si è svolto ieri alla Porta di Damasco e all’interno della città vecchia di Gerusalemme. Coloni, nazionalisti religiosi e militanti di destra, 30 mila secondo i dati forniti dalla polizia, hanno attraversato cantando, danzando e, più di tutto, sventolando bandiere i quartieri palestinesi fino al Muro del Pianto, con il fermo intento di affermare la sovranità di Israele imposta con la forza su Gerusalemme. È solo una festa popolare per il “Giorno di Gerusalemme” dicono le autorità israeliane. Di fatto è una sfida aperta alle rivendicazioni dei palestinesi che considerano la zona araba della città la capitale del loro futuro Stato. A nulla sono serviti i ricorsi presentati alla Corte Suprema da organizzazioni della sinistra israeliana, come Ir Amin, per evitare almeno il passaggio del corteo nei quartieri palestinesi, alla vigilia del mese islamico di Ramadan che ha visto ieri sera migliaia di fedeli musulmani andare a pregare alla Spianata delle Moschee. I giudici però hanno respinto i ricorsi e la polizia si è limitata a far anticipare la conclusione della “Rikudegalim”. La tensione è rimasta alta per tutto il giorno e sul lato palestinese non sono mancati gli appelli alla «difesa» della Spianata delle moschee da possibili incursioni di nazionalisti israeliani.

Per una importante agenzia di stampa italiana questa danza delle bandiere avviene «nell’anniversario della Guerra dei Sei Giorni (1967) in cui – ha scritto ieri – Israele estese il proprio controllo al settore arabo della città». Nel 1967 Israele non «estese» il proprio controllo sul settore arabo di Gerusalemme. Non «riunificò» la Città Santa sotto la propria sovranità come vuole la narrazione israeliana. 49 anni fa Israele occupò militarmente la zona palestinese (Est) di Gerusalemme, assieme a Cisgiordania, Gaza, Sinai egiziano e Golan siriano. Questa è storia. L’annessione unilaterale di Gerusalemme Est al territorio israeliano non è riconosciuta dalla comunità internazionale, Italia inclusa. E secondo il diritto internazionale l’intera Gerusalemme è occupata, non solo la parte araba. Il Piano di Spartizione della Palestina, accettato dai fondatori di Israele, prevedeva per Gerusalemme uno status di città internazionale.

La “Rikudegalim” si svolge da molti anni. Tuttavia dal 2009, da quando il premier Netanyahu – domani atteso da Vladimir Putin a Mosca per il 25.mo anniversario della ripresa delle relazioni diplomatiche – è tornato al potere alla guida di governi (sempre più) di destra, la danza delle bandiere ha assunto proporzioni e un’importanza senza precedenti. I partiti della destra, oggi tutti parte della coalizione di maggioranza, attendono il “Giorno di Gerusalemme” per ribadire che la zona araba della città non sarà mai restituita ai palestinesi, in nessun caso, e rimarrà per sempre nelle mani di Israele. Stando a quanto riferiva proprio ieri il quotidiano Haaretz, i principali finanziatori della “Rikudegalim” sono l’ufficio del primo ministro, il comune di Gerusalemme e una Ong americana di destra Am Kalavi. Contribuisce anche Amana, un’organizzazione che lavora per creare insediamenti e avamposti israeliani nei Territori palestinesi occupati.

Intanto a 150 km da Gerusalemme, al valico di Rafah tra Gaza e l’Egitto, centinaia di civili palestinesi hanno vissuto l’ennesimo incubo. 800 uomini, donne e bambini, tra questi tanti ammalati gravi, sono rimasti bloccati al terminal per tutto il giorno di sabato e poi la notte fino all’alba di ieri senza alcun ricovero, in attesa di entrare in Egitto a causa del coprifuoco imposto nel nord del Sinai. A causa delle procedure lentissime, sabato solo 290 palestinesi sono riusciti ad entrare in territorio egiziano prima del coprifuoco scattato alle 19. Sono trentamila gli abitanti di Gaza che, per vari motivi, dalla salute allo studio, hanno richiesto di attraversare la frontiera di Rafah, unica porta sul mondo arabo. L’Egitto però apre solo occasionalmente il valico e il numero di passaggi è sempre limitato.