«Ci aspettano giorni dolorosi», dice Paolo Gentiloni quando a Bruxelles cominciano ad arrivare le notizie sugli attentati all’aeroporto di Kabul. Il commissario Ue all’Economia spinge perché l’Unione europea per una volta si decida ad aprire le sue porte almeno agli afghani più vulnerabili che si potrebbero portare via organizzando dei corridoi umanitari. «Stiamo parlando di qualche decina di migliaia di persone, non di milioni», spiega. Inutilmente, viene da dire, visto che almeno per ora i 27 non sembrano essere in grado di fare scelte comuni. Ieri si è tenuta una riunione degli ambasciatori dalla quale sarebbe dovuto uscire almeno il numero di afghani che l’Ue è disposta ad accogliere, ma non si è giunti a nulla di fatto.

Tutto rimandato, magari a martedì prossimo, 31 agosto, quando si terrà un vertice dei ministri dell’Interno per valutare le misure da adottare in conseguenza alla nuova e sempre più drammatica situazione in cui è precipitato l’Afganistan. Si discuterà di sicurezza, ma anche delle gestione di un eventuale – anche se per ora improbabile – flusso di rifugiati che dovesse muovere verso l’Europa. E ancora una volta si va in ordine sparso: «Non ripeteremo l’errore strategico del 2015» ha ripetuto anche ieri il premier sloveno Janez Jansa che già nei giorni scorsi, senza che nessuno glielo chiedesse, ha affermato che l’Ue «non organizzerà corridoi umanitari». Nel frattempo la Commissione europea ha ricordato come tutti gli Stati membri devono presentare entro la metà di settembre «i propri impegni» in materia di accoglienza e in particolare sulle quote di rifugiati che sono disposti ad accogliere. In questo caso, però, si parla di quanti hanno collaborato con gli occidentali e che per questo rischiano di essere uccisi dai talebani.

Su tutti gli altri regna l’incertezza. Nei giorni scorsi l’alto rappresentante per la politica estera della Ue, Josep Borrell, aveva proposto di utilizzare per i profughi afghani una direttiva del 2001 sulla protezione temporanea per i richiedenti asilo. La direttiva prevede il riconoscimento della protezione per tre anni, ma nessuna obbligatorietà per gli Stati ad accogliere i profughi. Successivamente, però, un portavoce della Commissione ha smentito la possibilità di poterla utilizzare visto che la stessa commissione ha proposto di abrogarla per sostituirla con un nuovo regolamento. In ogni caso, comunque, visto che non era previsto nessun obbligo per gli Stati di accettare i profughi, si sarebbe proceduto come al solito su base volontaria.

Cosa intenda fare l’Europa per fermare i profughi è comunque chiaro: se proprio non è possibile evitare che escano dall’Afghanistan allora vanno bloccati nei Paesi confinanti, Pakistan, Iran e Tagikistan. «Non dovremmo aspettare di avere rifugiati afghani alle nostre frontiere esterne», ha spiegato la commissaria agli Affari Interni Ylva Johansson, che ha invitato gli Stati membri a «non intraprendere azioni unilaterali». Viceversa, per la commissaria occorre stanziare fondi per aiutare sia gli afghani che ancora si trovano nel Paese, che gli Stati confinanti con un finanziamento di 200 milioni di euro in aiuti umanitari. Un modo, ha concluso Johansson, per «assicurarsi di non finire in una situazione in cui molte persone intraprendono pericolose rotte dei trafficanti che portano alle nostre frontiere esterne».