C’è un fantasma che si aggira nel giornalismo italiano. Vive come un «paria». Per ogni articolo, o lancio d’agenzia, percepisce una manciata di euro. Talvolta riesce a strappare un contratto di collaborazione, ma non ha ammortizzatori sociali. Se si ammala. deve lavorare comunque. Se il suo giornale chiude, dichiara lo stato di crisi o va in fallimento, la riforma Fornero lo esclude dall’Aspi e dalla mini Aspi, l’assicurazione una tantum contro la disoccupazione prevista per gli «atipici», ma non per i giornalisti precari che lavorano da parasubordinati per una o più testate, molto spesso per anni. Se desiderano un figlio, oggi le giornaliste non hanno diritto alla maternità.

Secondo l’ultimo rapporto Lsdi del 2012, anno della grande crisi dell’informazione, i giornalisti con regolare contratto erano 17 mila, in diminuzione del 3,8% anche a causa dei massicci prepensionamenti a cui tutte le aziende hanno fatto ricorso, squilibrando il bilancio dell’istituto previdenziale della categoria, l’Inpgi. Al 31 dicembre i «collaboratori» erano invece 13.810, in aumento rispetto al 2011 del 9,9%, e guadagnavano in media 9.720 lordi all’anno. I «liberi professionisti» sono stabili, all’incirca 15 mila, con un reddito annuo da 13.252 euro. Questa media dev’essere presa con le pinze perché tra di loro ci sono giornalisti riconosciuti, Bruno Vespa o Lilli Gruber ad esempio, i cui guadagni sono senz’altro più sostanziosi. Sono dunque quasi 30 mila i giornalisti sospesi tra lavoro autonomo e parasubordinato, figure ibride che vivono in una zona grigia del contratto nazionale e condividono con la maggioranza del lavoro indipendente in Italia la condizione del quinto stato.

Di questa condizione se ne parlerà oggi e domani alla Federazione nazionale della Stampa (Fnsi) a Roma dove si terranno gli «Stati generali dell’informazione precaria». Fortemente voluti dai freelance della commissione che è al lavoro per definire il nuovo contratto nazionale con i giornalisti della Fnsi e gli editori della Fieg, gli «Stati generali» faranno il punto sulla legge per l’equo compenso per i giornalisti e calibreranno una piattaforma sul welfare per autonomi e parasubordinati. «I giornalisti non sono più una casta – afferma Maria Giovanna Faiella, una delle rappresentati dei freelance – adesso quasi i due terzi di noi lavorano fuori dalle redazioni. Chiediamo pari diritti. Dovrebbe essere interesse degli stessi editori tutelarci nel prossimo contratto nazionale. La professionalità dell’informazione è un bene pubblico da garantire in una democrazia».

Valeria Calicchio, portavoce del coordinamento romano «Errori di stampa», chiede che nel nuovo contratto sia prevista una rappresentanza dei precari nei comitati di redazione e la tutela legale in casi di diffamazione. Queste e altre proposte sono state condivise con i coordinamenti dei giornalisti precari che si sono formati negli ultimi anni in tutto il paese. Oggi interverranno a Roma in un apputamento dove ci sarà anche Paolo Butturini, segretario dell’associazine Stampa romana: «Bisogna fare in fretta – afferma – e agire entro l’anno sulla parte del contratto che riguarda i collaboratori discriminati. Siamo riusciti a far capire che la condizione dei freelance non è quella dei precari. Adesso dobbiamo combattere il precariato».