Anche venerdì scorso, come ogni altra sera, Lidija Nikcevic ha atteso la chiusura del giornale. Poi è uscita dall’ufficio per tornare a casa. Peccato che al suo appartamento non ci sia proprio arrivata. Degli uomini incappucciati le si sono fatti incontro e l’hanno colpita senza sconti. Brandivano mazze da baseball. La cronista ha rimediato severe contusioni ed è stata ricoverata all’ospedale di Niksic. È la seconda città del Montenegro. È lì che Lidija Nikcevic lavora. È in forza al dorso locale di Dan, quotidiano un tempo fortemente legato alla fazione pro-Belgrado e da sempre molto critico verso il sistema di potere, più che ventennale, forgiato e controllato dal primo ministro Milo Djukanovic.

Il pestaggio di Lidija Nikcevic è già di per sé un brutto episodio, ma diventa ancor più preoccupante se inquadrato in un complesso generale di attacchi alla stampa e alla libertà di stampa, quale quello montenegrino. Nel piccolo paese adriatico fare inchieste e raccontare verità scomode su corruzione, traffici narcotici, riciclaggio può essere molto pericoloso. Lo dimostra un lungo background di intimidazioni che, come un ottovolante, registra picchi improvvisi.

Proprio recentemente s’è assistito a un’impennata. Prima delle botte subite da Lidija Nikcevic c’era stata a fine dicembre l’esplosione di un ordigno di fronte alla sede centrale, nella capitale Podgorica, del quotidiano Vijesti, anch’esso non affatto tenero contro il potere, ma portatore di approcci diversi rispetto a Dan (nel 2006 Vijesti sostenne l’indipendenza referendaria dalla Serbia). In agosto, invece, una bomba era scoppiata nella città di Berane, di fronte all’abitazione del giornalista Tufik Softic, noto per i suoi articoli sulla criminalità organizzata, collaboratore di Vijesti e del settimanale Monitor, altra testata che non lesina critiche a Djukanovic.

Softic, tra l’altro, era già stato vittima di un’aggressione nel 2007. In quello stesso anno anche Zeljko Ivanovic, all’epoca e ancora oggi direttore di Vijesti, era stato pestato. Andando ancora a ritroso si arriva al 2004, l’anno dell’omicidio di Dusko Jovanovic. Dirigeva Dan. Fu assassinato a Podgorica.

L’impressione è che ci sia una sorta di filo rosso che tiene legati tutti questi fatti. Il punto è che, seppure da posizioni diverse, Vijesti, Monitor e Dan si oppongono a Djukanovic e nel corso degli anni hanno denunciato la collusione politica e criminalità organizzata. Faccenda che produce un’eco anche al di fuori del tradizionale steccato della politica montenegrina. L’Unione europea ha più volte chiesto alle autorità di Podgorica, che hanno aperto i negoziati d’accesso nel 2012, di impegnarsi maggiormente su questo fronte. Lo stesso Milo Djukanovic, sebbene senza alcuna conseguenza penale, è stato a lungo chiamato in causa dalla procura italiana di Bari in merito al traffico di sigarette nell’Adriatico che si sviluppò – così hanno rivelato le inchieste – sull’asse Puglia-Montenegro gli anni ’90.

Ora, volendo tagliare corto, ci si chiede se questi attacchi a giornali e giornalisti non allineati siano riconducibili proprio a questi scenari scivolosi. Secondo i direttori di Vijesti e Dan sì. Il primo, Zeljko Ivanovic, ha detto nei giorni scorsi che questi sono i risultati «di anni di campagne del primo ministro, del suo governo, della sua formazione politica (Partito democratico dei socialisti) e della mafia contro i media indipendenti». Mentre il secondo, Nikola Markovic, ha spiegato che fintanto che le autorità non troveranno i responsabili del pestaggio di Lidija Nikcevic e di altri casi simili, la colpa ricadrà sul governo. Che da parte sua respinge però ogni accusa.