I mezzi di comunicazione prefigurano spesso i volteggi e gli andamenti del sistema politico. E’ un vecchio adagio della mediologia, piuttosto rozzo e tuttavia quasi sempre giusto. Due vicende, pur tra loro diverse, si sposano bene, anzi male.

Parliamo del l’avvicendamento nella direzione de la Repubblica imposto dalla proprietà del gruppo “Exor-Gedi” e le tabelle pubblicate dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni inerenti al pluralismo televisivo nel mese di marzo.

Il cambio nella stanza dei bottoni del quotidiano (a torto o a ragione che sia) considerato una bandiera del progressismo italiano sembra dare un messaggio chiaro: il clima è cambiato e quello dei progenitori Eugenio Scalfari e Carlo Caracciolo si è esaurito. La scelta di un professionista come Maurizio Molinari, che mai – però- ha nascosto le sue simpatie geopolitiche, è come e più di un piano editoriale.

Già quando lo scorso 2 dicembre l’operazione di acquisizione del controllo della società della famiglia De Benedetti da parte della “Exor” di John Elkann fu avviata, il dubbio veniva. Sarebbe mai stato possibile che un simile trambusto fosse un atto di secondaria importanza, come in fondo fu prevalentemente descritto? Certamente no. Bastava solo attendere un po’. Ed eccoci, una bella girandola di direttori, a partire dal prestigioso quotidiano-partito, capace di influenzare tanti momenti della vita italiana.

E’ presumibile che, stando anche alle indicazioni offerte dallo stesso Molinari stesso nell’editoriale di commiato sulla trasformazione digitale, si potrebbe aprire una stagione all’americana: il baricentro sull’online, poche edicole, edizione stampata cara e rivolta alle élite, collocazione “centrista” e confindustriale. Speriamo di sbagliarci ed è augurabile che la soggettività di chi lavora nelle diverse testate sia in grado di frenare simile involuzione.

E’ curioso mettere in relazione tale storia con i dati forniti dall’Agcom. Dopo mesi di squilibrio forte e in vari casi vergognoso e dopo qualche timido richiamo dell’Autorità, il mese di marzo ci racconta davvero (non sono supposizioni, bensì cifre reali) qual è lo stato delle cose. Nella televisione, che sta vivendo a causa del Covid-19 una resurrezione di audience, si registra una prova sperimentale di una nuova maggioranza, centrata sulla Lega e su Forza Italia. Stazionario il partito democratico, stabili i Fratelli d’Italia, crollo del Mov5Stelle, ai margini il resto (ivi compresa la Sinistra, che pure è al governo).

Leggiamo i tempi di parola. Nei telegiornali della Rai (al netto delle istituzioni): 5stelle 6,67%; Lega 29,20%; Forza Italia 25,56%; PD 17,75%, Fratelli d’Italia 7,38%.

In Mediaset: 0,88% 5Stelle; Lega 24,83%; Forza Italia 44,46%; PD 10,54%; Fratelli d’Italia 5,43%. Il partito del proprietario si avvicina al 50% nella gloriosa Rete4 e nel TgCom.

La 7: 0,40% 5Stelle; 44,36% Lega; 32% Forza Italia; 13,47% PD; 1,84% Fratelli d’Italia.

Sky (satellite): 2,34% 5Stelle; 29,61% Lega; 46,73% Forza Italia; 14,23% PD; 1,80% Fratelli d’Italia.

E’ lecito discettare, ma in un seminario, sulle lievi difformità tra i tempi di parola e di antenna o sul peso del governo, che vede ovviamente la preminenza del presidente del consiglio Conte. E al solito, purtroppo, le “altre forze” raccolgono solo le briciole e neppure il minutaggio è moltiplicato con gli ascolti, come a suo tempo faceva opportunamente il Centro di ascolto radicale.

La sintesi, comunque, è chiara: si prefigura un maggioranza diversa, con all’interno a pieno titolo Forza Italia. L’attenzione mediatica prefigura, magari, potenziali scenari, sospinti dall’esposizione in video che un certo peso mantiene sulla formazione dell’opinione pubblica.

Insomma, tracce di un rimescolamento di cui ormai vari commentatori parlano e scrivono correntemente. Tra le paginate e i servizi occupati dal Coronavirus si insinuano da settimane articoli sul “Risiko” di un presunto (e presuntuoso) dopo Conte. Non tre, bensì chili di indizi, cara Agatha Christie.