Mi sono abbonato per la quarantaduesima volta. Non è testarda abitudine. È perché così ho potuto soddisfare un po’ l’esigenza, per me imperiosa, di «fare qualcosa di sinistra». «Qualcosa» è abbonarsi a questo giornale, è dargli una mano per continuare vivere. È «di sinistra» questo giornale, perché non ha spezzato e non poteva spezzare i suoi legami strutturali e, perciò, vitali. I legami con la classe per la quale fu scritto quel documento di immortale congiunzione di ragione e passione del quale questo giornale volle assumere il nome.

Giornale della classe? Sì. Anche se di una classe dispersa, abbandonata, rinnegata e tradita. Anche al di là di qualche caduta di stile, è un giornale condannato ad essere critico dell’esistente, ad essere militante.

Lo so. Non è il migliore dei giornali possibili della sinistra. Ma è l’unico rimasto e per merito di chi è riuscito e riesce farlo uscire. Dobbiamo tenercelo ad ogni costo. Anche al costo di constatarne rifiuti, elusioni, supponenze, errori. Di addolorarcene e di reagire. A me è capitato di dissentire da chi e da come «faceva» il giornale e ho anche interrotto la collaborazione. Ma sono poi tornato a scrivervi. La consonanza è tornata implacabile. Credo che possa tornare e stia tornando adesso anche quella tra gli… «esiliati» e i … «residenti».

Aprire il dibattito sull’Europa, preannunciato in vista delle elezioni e iniziato con la «lettera aperta» pubblicata il 22 dicembre può diventare e, forse è già «la profonda discussione politica» auspicata da Valentino Parlato.
Perché, parafrasando Marx, è in Europa che oggi «si deve decidere combattendo la lotta di classe».