È arrivato, finalmente. Il premio Nobel al settantaduenne fisico romano Giorgio Parisi non era del tutto inaspettato, anzi. Come ha confessato lui stesso nelle primissime dichiarazioni, aveva tenuto il telefono libero perché sapeva che qualche possibilità stavolta c’era.

Solo due settimane fa la Clarivate – un’accreditata agenzia internazionale di valutazione della ricerca – lo aveva incluso nella categoria degli scienziati più citati al mondo, un riconoscimento che ha spesso anticipato l’assegnazione del Nobel.

A Parisi la giuria di Stoccolma ha attribuito una metà del premio per i «contributi rivoluzionari alla comprensione dei sistemi complessi» e, in particolare, la scoperta dell’interazione tra disordine e fluttuazioni nei sistemi fisici dalla scala atomica a quella planetaria».

L’altra metà se la sono divisi due fisici del clima, entrambi novantenni: il giapponese naturalizzato statunitense Syukuro Manabe dell’università di Princeton e il tedesco Klaus Hasselmann, professore emerito dell’università di Amburgo, «per la modellizzazione fisica del clima della Terra, la determinazione della sua variabilità e la previsione corretta del riscaldamento globale».

IL PREMIO al fisico italiano è motivato dalle moltissime ricerche svolte dagli anni ’80 a oggi nel campo dello studio dei sistemi disordinati, che hanno rappresentato una piccola rivoluzione scientifica.

 

Per gran parte della sua storia, la fisica si era dedicata ai sistemi in equilibrio, prevedibili e regolari. Si trattava però di idealizzazioni, che ne rendevano possibile lo studio attraverso modelli matematici più semplici di quanto fosse la realtà.

Parisi ha affrontato invece sistemi dominati da disordine e casualità, più difficili dal punto di vista teorico ma assai più interessanti e vicini al comportamento di molti sistemi reali.

L’oggetto delle sue prime ricerche in questo campo sono apparentemente banali: sostanze amorfe come il vetro o sistemi magnetici privi di una struttura regolare, detti appunto «vetri di spin». Quegli studi, oggi premiati con il Nobel, hanno mostrato che anche sistemi così semplici possono dare vita a comportamenti complessi e non riconducibili alla somma delle proprietà dei suoi costituenti elementari.

Le teorie di Parisi si sono rivelate adatte a rappresentare una quantità di situazioni reali ritenute prima troppo complicate per le idealizzazioni della fisica teorica, e che lo stesso Parisi non aveva certo previsto agli esordi.

Grazie a quei modelli teorici è stato possibile comprendere come dal disordine possano emergere strutture regolari e, entro una certa misura, prevedibili se osservate con la giusta lente. Con gli oltre trecento colleghi con cui ha collaborato nel corso della sua carriera, Parisi ha potuto affrontare problemi diversissimi, dalle reti neurali alla base del funzionamento del cervello – un filone di ricerca condiviso con Daniel Amit – ai mercati economici e al volo coordinato degli stormi, in cui migliaia di uccelli formano coreografie perfette senza una regia evidente, uno dei settori esplorati negli ultimi anni da Parisi e dal suo gruppo di ricerca.

ANCHE IL CLIMA rientra in questi sistemi complessi. E non è un caso se i giurati del Karolinska abbiano scelto di premiare insieme a Parisi due climatologi, che hanno condiviso l’altra metà del premio.

Syukuro Manabe è lo scienziato che ha stabilito come l’eccesso di anidride carbonica porti ad un aumento della temperatura sulla superficie terrestre. I modelli climatici attuali devono molto ai suoi studi sul bilancio tra la radiazione solare assorbita dalla Terra e quella riflessa, e su come questo influenzi il moto verticale delle masse d’aria.

Le teorie di Klaus Hasselmann hanno invece chiarito come dalle variazioni di breve periodo apparentemente imprevedibili del tempo meteorologico possano emergere variazioni climatiche che, sul lungo periodo, possono essere anticipate.

Purtroppo per noi, la natura gli ha dato ragione: l’aumento della temperatura globale, con il moltiplicarsi degli eventi estremi, è esattamente ciò che ci si deve aspettare in base ai modelli di Hasselmann, una volta tenuto conto dell’impatto sul clima delle attività antropiche.

Il Nobel premia dunque, se non un cambio di paradigma scientifico, un approccio innovativo alla fisica distante dall’ideale meccanicistico newtoniano.

Uno dei maestri di Parisi, il fisico Marcello Cini da cui lo separava una generazione, avrebbe parlato di una transizione dall’«universo delle leggi naturali» al «mondo dei processi evolutivi».

Non è l’unico aspetto in comune tra i due scienziati. Parisi, come Cini, nei suoi primi anni di carriera ha dato contributi importanti alla fisica delle particelle lavorando con capiscuola come Giorgio Salvini e Nicola Cabibbo, che nel 2008 il premio Nobel lo sfiorò soltanto.

Lo ha ricordato ieri in una breve cerimonia di saluto organizzata in pochissimo tempo alla Sapienza, l’ateneo in cui Parisi si iscrisse nel 1966 e in cui ha trascorso gran parte della sua carriera professionale.

«Anche io mi sono arrampicato sulle spalle dei giganti» ha detto citando Newton «L’istituto di fisica è un ambiente eccezionale, non paragonabile con altre università straniere». Di fronte alla ministra dell’università e della ricerca Maria Cristina Messa, ha ricordato che il riconoscimento odierno alla ricerca di base italiana in passato è spesso mancato da parte del governo. «Spero che ci sia un cambiamento in Italia nell’interesse verso la scienza, e che nella prossima finanziaria questo riconoscimento sia confermato» ha detto. «Al di là del Pnrr, occorrono cambiamenti strutturali perché l’Italia sia accogliente verso i ricercatori, poco importa se stranieri o italiani».

L’omaggio degli studenti di fisica di Roma 1 a Giorgio Parisi

 

L’IMPEGNO CIVILE di Parisi non è una novità. Sin dal movimento del 1968, a cui partecipò attivamente da studente, Parisi è stato un militante attivo della sinistra.

Per quasi trent’anni, tra il 1983 e il 2012, ha collaborato regolarmente con il manifesto (anche in questo compagno di Cini e Amit) ed è stato membro dell’assemblea nazionale di Sinistra Ecologia Libertà durante la segreteria di Nichi Vendola.

Anche la sua presidenza dell’Accademia dei Lincei, conclusasi da poche settimane, si è caratterizzata per un dialogo costante tra la comunità scientifica e la cittadinanza su temi di interesse pubblico.

Durante la pandemia, ha messo le sue competenze a disposizione della battaglia contro il Covid, con interventi e analisi spesso azzeccate. È stato uno dei primi ricercatori capaci di prevedere l’impatto devastante della seconda ondata nell’ottobre del 2020, dopo un’estate all’insegna del «virus clinicamente morto».

La comunità della Sapienza lo ha ripagato ieri, con un corteo spontaneo di centinaia di studenti che lo ha accompagnato per le vie del campus per festeggiare insieme il premio Nobel.

Dal terrazzo del dipartimento di fisica è calato uno striscione: «Congratulazioni Giorgio. It’s coming Rome». Gli studenti facevano il verso ai tanti successi sportivi del 2021. Ma tra tutti i trofei internazionali, quelli scientifici sono i più apprezzati. Perché un premio alla scienza è un premio al futuro.