«Il verde, unica fonte, mossa dal Sole, della vita»: in un articolo su l’Extraterrestre di fine 2018, Giorgio Nebbia (morto il 3 luglio scorso) dava un andamento poetico a una constatazione scientifica. Nello stesso periodo, a proposito delle miniere insanguinate, scriveva: «Agli africani il dolore e la fatica del lavoro».

Un tema, quello della violenza umana e ambientale nei processi di produzione scambio e consumo, che egli sviluppò nel testo La violenza delle merci (Ecoistituto del Veneto,1999). Contro un capitalismo sanguinoso e insostenibile, imperialistico e bellicoso, iniquo e distruttivo, l’ecologia poteva essere uno strumento di conoscenza «utile a diffondere la solidarietà internazionale».

IRRAGGIUNGIBILE ESEMPIO di ecologista, scienziato, docente, educatore, politico a sinistra, divulgatore del sapere davvero per tutti (con migliaia di articoli, dossier, relazioni), il professor Giorgio Nebbia è stato per molti decenni il crocevia di lotte ma anche di proposte, di studi ma anche di applicazioni. Generoso, gentile e privo di narcisismo, si è messo a disposizione non solo di lotte di carattere nazionale e mondiale, ma anche di una miriade di associazioni, comitati e cause «minori».

Ne davano conto tre anni fa, come di augurio per il suo novantesimo compleanno, diversi ambientalisti, attivisti, studiosi autori del libro collettivo Per Giorgio Nebbia. Ecologia e giustizia sociale, edito nel 2016 dalla Fondazione Micheletti – che lo ha avuto come colonna portante della rivista Altronovecento e dell’archivio.

Già da giovane merceologo a metà degli anni 1950 intrattiene contatti internazionali per lo sviluppo delle applicazioni dell’energia solare, in particolare la dissalazione; membro della piccola comunità solare italiana («il futuro è solare»), negli anni 1960 sperimenta distillatori sulla terrazza dell’Istituto di merceologia a Bari e ai giardini Margherita della sua Bologna.

Nel 1972 partecipa, con altri antesignani dell’ambientalismo, alla Conferenza Onu su «Ambiente e sviluppo» a Stoccolma; nello stesso periodo, a Bari, il professore aiuta i comizi dei ragazzi che esigono dai candidati alle amministrative un’agenda di impegno ambientale. Del resto, come spiegherà nel 2015 in un’intervista a Teleambiente, «quando si parlava di problemi ambientali, un povero professore di merceologia sapeva bene che era materia sua, perché nell’ambiente finivano gli scarti» dei cicli produttivi.

INTANTO DENUNCIA A MEZZO STAMPA ogni genere di frodi alimentari, riuscendo a provocare interventi di controllo. Nel 1978 è fra i promotori del referendum contro la caccia – che non raggiunge il quorum. E’ in nome della necessità di un «grande movimento di liberazione per sconfiggere le ingiustizie portate dalle merci, fra gli esseri umani e la natura», per ispirare le merci ai valori, che Giorgio Nebbia diventa parte attiva in molti conflitti ambientali, rispetto ai quali individua quattro soggetti: inquinatori, inquinato, Stato, scienziati.

ALLA FINE DEGLI ANNI 1970 è fra i pochi scienziati antinuclearisti alla conferenza nazionale sulla sicurezza nucleare, a Venezia. Aiuta a strutturare il movimento contro una forma di energia che «non è né economica, né pulita, né sicura». E quanto alle armi nucleari, il suo impegno era sfociato di recente nella proposta di un gruppo di scienziati per lo studio di un mega programma di messa in sicurezza e neutralizzazione dell’arsenale mondiale. Si sarebbe creato lavoro; del resto per Nebbia era imprescindibile trovare alternative occupazionali – oltre alla riduzione dell’orario.

Nel testo Per Giorgio Nebbia si evocano le «migliaia di chilometri percorsi per incontri con comitati, sit-in, marce e tutte le varianti dell’impegno politico dal basso». Partecipa ad esempio alle mobilitazioni nell’alta valle Bormida, avvelenata dall’Acna di Cengio, la fabbrica chimica in provincia di Savona. Anche l’impegno dei cittadini e degli enti locali contro il polo chimico Farmoplant lo vede protagonista, da consigliere comunale a Massa Carrara fra il 1985 e il 1987. Negli stessi anni sostiene la causa ambientalista contro lo scarico in Adriatico dei fanghi al fosforo del petrolchimico di Porto Marghera, proponendo alternative che contribuiscono a spostare parte del sindacato. Sul tema dell’acqua partecipa a gruppi di lavoro, scegliendo come asse l’ecosistema bacino idrografico.

DA PARLAMENTARE PER DUE legislature, nel gruppo Sinistra indipendente, «sempre all’opposizione e quindi perdevamo sempre, quasi sempre», si impegna sui temi più svariati (e non sempre perdendo): la legge per la difesa del suolo varata in quegli anni, l’inquinamento da concimi, pesticidi, detersivi, piombo tetraetile e la sicurezza nelle fabbriche. Ma Giorgio nel 2018 ha anche messo su carta il suo sogno, con il saggio fantascientifico (ricco di dati, percorsi e grande speranza) Lettera dal 2100. La società post-capitalistica comunitaria, nel libro di vari autori Alle frontiere del capitale (Jaca Book e Fondazione Micheletti, 2018). «Siamo alle soglie del XXII secolo; ci lasciamo alle spalle un secolo di grandi rivoluzionarie transizioni, un mondo a lungo violento, dominato dal potere economico e finanziario, sostenuto da eserciti sempre più potenti e devastanti. L’umanità è stata più volte, nel secolo passato, alle soglie di conflitti fra paesi e popoli che avrebbero potuto spazzare via la vita umana e vasti territori della biosfera. Vittima della paura e del sospetto, è stata esposta ad eventi meteorologici estremi che si sono manifestati con tempeste, alluvioni, siccità. Con fatica è stato realizzato un mondo in cui le unità comunitarie sono state costruite sulla base dell’affinità fra popoli, in cui città diffuse nel territorio sono integrate con attività agricole, in cui l’agricoltura è stata di nuovo riconosciuta come la fonte primaria di lavoro, di cibo e di materie prime, un mondo di popoli solidali e indipendenti, in cui la circolazione di beni e di persone non è più dominata dal denaro, ma dal diritto di ciascuna persona ad una vita dignitosa e decente».