Paolo Ferrari, uno dei grandi fotografi italiani, scomparso meno di tre mesi fa a ottantasei anni (ricordo solo, della sua vasta opera le drammatiche immagini del 2 agosto 1980 riprese quella mattina alla stazione della sua Bologna), ha dedicato memorabili scatti ai ‘luoghi’ di Giorgio Morandi, frutto di una attenta ricognizione. Gli studi di via Fondazza e di Grizzana hanno offerto al suo occhio sensibilissimo la registrazione di tracce non trascurabili che restano fissate dalla sua macchina. Scatti di oggetti, di pareti, di scorci, minimi particolari eloquenti così puntualmente selezionati dall’acume critico di Ferrari da valere quali contributi non secondari alla definizione della figura e dell’opera di Morandi. Tra le altre, particolarmente preziose sono da ritenersi le fotografie che corredano lo studio di Franco Basile dedicato a I giorni di Grizzana, che le veronesi Edizioni d’Arte Ghelfi pubblicarono nel 1986.

Non insisto a segnalare le straordinarie immagini del paesaggio di Grizzana che Ferrari inquadra mantenendosi fedele all’impaginazione dei contestuali dipinti e delle relative incisioni di Morandi fino a restituire di quelle opere il referente ‘naturale’ quale si presentava dinanzi al pittore. Sono piuttosto alcune fotografie di alcuni angoli della casa di Grizzana e di certi minimi oggetti non più toccati o mossi che richiamano la mia attenzione. Uno stropicciato fagottino di carta da pacchi legato con lo spago. La cartolina d’una Madonna di Duccio accosto a una scatola di fiammiferi svedesi. Un ramoscello d’ulivo appeso, forse in un lontano giorno di pasqua, al chiodo donde pende una medaglietta della Vergine. Una resta di grano in equilibrio allo stipite d’una porta.

Piccole cose, affidate ad un tempo sospeso. È che il tempo è un grande, costitutivo argomento della pittura di Morandi: l’immagine da lui per via di pittura estratta da ‘natura’ e posta in un intermondo indelebile ove quanto sentiamo quotidiano rassesta una volta per sempre le sue luci e le forme che ne sono investite. Ma è una la fotografia di Ferrari che avevo a mente e per cui ho ripreso tra mano il volume di Basile. È che ragionavo sui disegni di Morandi e, in specie, quelli da lui realizzati nei suoi anni estremi, a far data dal 1958 e fino al 1964, l’anno della morte. Disegni e acquarelli che, per lo più, Morandi aveva tenuti per sé. Ritengo che appartengano a quei pochi anni raggiungimenti altissimi, forse il vertice dell’arte sua e che specialmente nel disegno e allora egli tocchi il punto più elevato dell’intera sua ricerca. Questione critica che fin dal 1968 è stata perfettamente impostata e con la consueta finezza trattata da Cesare Brandi nel breve saggio I disegni di Morandi. Mi propongo di tornare sull’argomento, ma ora è bene ch’io dia conto della fotografia di Ferrari.

Essa mostra la superficie del tavolo da lavoro che è posto al centro dell’ampia stanza nella casa di Grizzana. Il piano ben piallato, con i nodi e le venature, quel medesimo piano sul quale anche poggiano, con altre ancora, le ‘cose’ che ho più sopra descritto. Tra quegli oggetti è stato fatto un po’ di posto. Sono stati spostati un barattolo di Ovomaltina, alcuni sassi e qualche scatoletta di cartone e di latta. Così sul tavolo, nella gran luce che le finestre portano sulle pareti spoglie, osservi, lacerate in pezzi irregolari, numerose carte, una sull’altra, in mucchio. Sono le spoglie di disegni e acquarelli giudicati falliti che Morandi ha stracciato.

Vedi interrotta la linea tracciata leggerissima a lapis nero di un contorno tremulo. Riconosci le lettere separate della firma. Rese anonimi frammenti le macchie all’acquarello di grigi tenui e mandorla appena rilasciate sul foglio. Alcuni pezzi sono integralmente bianchi, ma in essi non ritrovi alcunché che conservi la candida spazialità in espansione, il senso di levità aerea che alitava ad animare quelle linee e quelle velature e le apriva ad un respiro libero, all’andamento ampio che Morandi conferisce al leggero trascorrere della sua matita sulla carta.